Deinfluencing: cos'è il trend anti-acquisti che sta facendo tendenza
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Negli ultimi anni è esploso il fenomeno degli influencer, persone esperte di un determinato settore che per l’appunto “influenzano” i loro follower spingendoli a comprare questo o quel prodotto, di cui decantano le potenzialità e tessono le lodi.
Da un po’ di tempo però gli influencer sembrano essersi impantanati in una sorta di sabbie mobili. Il loro compito è promuovere un prodotto per farlo vendere, quindi non sempre sono obiettivi e imparziali. Vengono pagati per promuovere un prodotto e aumentarne le vendite, quindi non possono parlare di eventuali difetti o comunque tendono a minimizzarli.
Il pubblico social di oggi è composto principalmente dalla Generazione Z, le persone nate tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni del 2010, molto più attente e informate sui meccanismi della manipolazione social. In pratica è stato smascherato questa sorta di “conflitto di interesse” e per gli influencer è diventato più complicato conquistare la fiducia dei follower.
In tale contesto è esploso il fenomeno del deinfluencing, dove i cosiddetti deinfluencer non puntano tanto a sponsorizzare un prodotto, quanto piuttosto a suggerire cosa non acquistare oppure a indicare se ci sono articoli più economici che offrono prestazioni comunque dignitose.
In questo modo diventa più facile non solo fidelizzare i clienti ma anche fare lead generation, cioè attrarre potenziali consumatori interessati ai servizi e ai prodotti offerti in modo naturale.
Cos’è il deinfluencing?
L’influencer marketing si è evoluto a tal punto da creare un suo alter ego, l'altra faccia della stessa medaglia: il deinfluencing. Il fenomeno è esploso su TikTok e i deinfluencer senza filtri dicono cosa ne pensano di un prodotto, non lesinando critiche anche abbastanza feroci e spiegando perché quel determinato articolo non va comprato.
Questa forma di comunicazione schietta, sincera e quasi brutale piace ai follower che si sentono meno manipolati e tendono a fidarsi ancora di più. Tale approccio facilita anche l’inbound marketing, una strategia di business che attira i clienti con contenuti di valore ed esperienze create e tagliate su misura per loro.
Alcuni influencer, accusati di essere poco obiettivi, sono addirittura ritornati sui loro passi e hanno criticato prodotti che avevano incensato fino a poco tempo prima. Così facendo hanno acquisito credibilità e riconquistato punti agli occhi dei loro follower.
Molti esperti ritengono che il deinfluencing sia un fenomeno favorito anche dalle contingenze attuali, come la crisi economica che ha inevitabilmente ridotto il potere d’acquisto dei consumatori che preferiscono capire quali prodotti è meglio evitare oppure acquistare perché considerati più economici ma comunque affidabili.
Altri invece ritengono che i deinfluencer non fanno altro che rafforzare quello stesso sistema che loro intendono abbattere. In fondo il loro obiettivo è comunque convincere i follower ad acquistare, anche se con metodologie e forme di comunicazione diverse.
Di certo si tratta di un fenomeno che è letteralmente esploso e non si sa se avrà vita breve o se si radicherà nel web per molti anni, quindi è importante conoscerlo bene per non farsi trovare impreparati e cavalcare tutti i nuovi trend social.
Come è nato il fenomeno dei deinfluencer?
Il termine deinfluencing fu introdotto per la prima volta da Maddie Wells, che può essere considerata la prima deinfluencer o comunque una delle prime. La ragazza tra il 2018 e il 2019 ha lavorato per Sephora e Ulta e in un video risalente al mese di settembre 2020 elencò tutti i prodotti cosmetici che i clienti avevano portato indietro perché non funzionavano o non davano i risultati sperati.
Lei stessa per la prima volta utilizzò la parola deinfluencing, che sarebbe poi diventato un vero e proprio trend sui social, tant’è che da allora molti l’hanno imitata trasformandosi da influencer a deinfluencer.
Un approccio che rompeva le regole, poiché fino a quel momento nessuno aveva mai pensato di criticare un prodotto. Nessuna azienda avrebbe chiaramente pagato per commentare negativamente i propri articoli. Eppure quel modo di comunicare della Wells, che da allora ha visto crescere a dismisura la sua credibilità, piacque tantissimo ai follower che ne apprezzarono la sincerità.
I motivi del boom
Abbiamo già anticipato in parte i motivi del boom, che possono avere radici di natura economica. Il consumismo sfrenato di qualche anno fa è stato rallentato da tanti fattori, come la pandemia e la guerra russo-ucraina, che hanno fatto impennare i prezzi delle materie prime e non solo.
Si è ridotto il potere d’acquisto e la Generazione Z ha imparato ad essere più parsimoniosa. Ecco perché oggi non attirano più gli influencer che invitano a spendere fior di quattrini per articoli che costano tanto, ma piuttosto i deinfluencer che consigliano come spendere in modo intelligente i propri soldi acquistando il prodotto dal miglior rapporto qualità/prezzo.
Abbiamo sottolineato anche la maggiore preparazione della Generazione Z, che conosce perfettamente le dinamiche del marketing e che quindi non si fa “abbindolare” così tanto facilmente.
C’è poi da segnalare un altro aspetto sicuramente interessante: l’invidia sociale del popolo social verso gli influencer. Soprattutto i big influencer che vantano una community piuttosto ampia tendono a ostentare la loro ricchezza e un tenore di vita molto alto, rappresentando un modello praticamente irraggiungibile per i “comuni mortali”.
Forse lo fanno proprio per il piacere di ostentare, o magari con l’obiettivo di suscitare nei follower il desiderio ardente di avere quel prodotto, la cosa certa è che così facendo provocano l’invidia sociale e diventano bersagli di critiche e insulti.
Il deinfluencing invece punta a smantellare questo modello, proponendone uno molto più raggiungibile per chi ha stipendi normali o comunque non può permettersi un tenore di vita così elevato.
I deinfluencer propongono acquisti più consapevoli e accessibili, riuscendo così a conquistare molti più follower che puntano maggiormente al risparmio e al benessere finanziario.
C’è un altro aspetto da sottolineare che ha facilitato l’esplosione del deinfluencing: il minor impatto a livello ambientale. L’eccessivo consumismo degli ultimi anni ha favorito la produzione smodata e incontrollata di prodotti, che naturalmente richiedono più materie prime, più energia e più trasporti che a loro volta causano maggiore emissione di CO2 e maggiore inquinamento.
Nella moda questa tendenza si chiama fast fashion e consiste nella produzione massiccia di abiti di scarsa qualità a prezzi ridotti che durano uno o due anni, ma tale fenomeno esiste ormai in tutti i settori.
I nuovi consumatori oggi sono molto più attenti all’ambiente, ecco perché preferiscono seguire i consigli di chi suggerisce acquisti eco-friendly e intelligenti, con un occhio alla salvaguardia dell’ambiente e uno al proprio portafogli.
Come le aziende possono sfruttare il deinfluencing?
Le aziende devono tenere conto di questa nuova tendenza, anche perché il mondo social è in costante evoluzione e bisogna sempre farsi trovare pronti alle nuove sfide.
Ingaggiare deinfluencer oppure avviare attività di deinfluencing sono sicuramente delle potenziali strategie, ma vanno messe in atto con grande attenzione e intelligenza. Si vanno a toccare tasti molto delicati e i meccanismi di fidelizzazione potrebbero incepparsi se si commette un solo errore.
Per prima cosa è quindi importante conoscere bene il proprio target di pubblico e a tal proposito può risultare molto utile un buon CRM, che se gestito in modo efficiente permette di conoscere a fondo i propri clienti e stringere con loro relazioni sempre più solide e durature.
Una volta che si conoscono le abitudini e le preferenze dei clienti, diventa anche più semplice stilare una strategia personalizzata e costruita su misura per loro.
Le strategie adottate devono comunque essere sempre in linea con la filosofia aziendale. Chi vende abiti di marca ad esempio piuttosto che puntare al risparmio dovrebbe sottolineare la qualità dei prodotti, che durano a lungo nel tempo e che non provocano alcun tipo di irritazione a contatto con la pelle. In tal caso sarebbe una buona idea lanciare una campagna di deinfluencing che evidenzi le criticità del già citato fast fashion.
Un’azienda che vende prodotti biologici potrebbe invece puntare sull’importanza della sostenibilità ambientale e sulla necessità di adottare azioni virtuose per tutelare adeguatamente il pianeta.
Un’attività che invece fa del risparmio il suo punto di forza, dovrebbe sottolineare la convenienza nell’acquistare prodotti di brand meno noti ma che costano meno e che soprattutto offrono prestazioni più o meni simili rispetto ad articoli di marchi più quotati.
Conclusioni
Il deinfluencing è un fenomeno che ha molte sfaccettature ma che va analizzato con molta attenzione. Alcuni hanno parlato addirittura di crisi dei social media, vagheggiando un abbandono graduale delle persone dagli stessi social.
In realtà le cose non stanno esattamente così, semplicemente i consumatori stanno cambiando le loro abitudini e i social di conseguenza stanno cambiando pelle. Ed è proprio in tale contesto che è nato e che si è sviluppato il deinfluencing.
Se sia un fenomeno temporaneo o destinato a durare a lungo nel tempo è impossibile prevederlo, ma sicuramente le aziende devono implementare le loro funzionalità per affrontare ogni sfida che il marketing online proporrà.
É quindi fortemente consigliabile affidarsi a piattaforme avanzate come HubSpot, che integra tutte le tecniche di marketing per attrarre potenziali clienti e favorire la conversione. Se sei interessato ad approfondire questo discorso puoi effettuare il download gratuito della risorsa alla fine dell’articolo che accende i riflettori proprio su HubSpot.
Redazione
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