Termine ultimo: fine 2024. Manca ormai poco all'apocalisse dei cookie. Cosa intendo? La parola è una, tanto facile quanto spaventosa per chi opera nel settore del marketing: cookieless. Dall'inglese letteralmente senza cookie, ciò che ci aspetta metterà sicuramente a dura prova tutto il mondo del marketing online come lo conosciamo oggi. Sarà necessario adattarsi, scoprire e approfondire nuove strategie (che è anche lo scopo di questo articolo) per sopravvivere nel nuovo web senza cookie di terze parti. Prima di illustrare il cookieless, è doveroso introdurre spiegando cosa sono i cookie, a cosa servono e quali tipi ne esistono, per essere sicuri di continuare sapendo bene di che cosa si sta parlando. Cosa sono i cookie Un cookie è una piccola stringa di testo inviata dal server del sito web al browser dell'utente, che conserva una serie di dati personali utili al sito per memorizzare i gusti e le preferenze del visitatore e fornirgli un'esperienza creata apposta per lui. Insomma, di base sono informazioni dell'utente che il sito utilizza per facilitargli la vita, ricordandosi ad esempio quale in quale lingua preferisce navigare, cosa conserva nel carrello del suo shop online preferito, cosa preferisce guardare durante una sessione online e via dicendo. È tutto pensato (ripeto, alla base) per facilitare la vita dell'utente memorizzando la sua attività e proponendogli azioni o contenuti correlati. Il cookie si installa proprio sull'hard disk del device dell'utente, e tutte le volte che questo si riconnette al sito, le informazioni vengono aggiornate. Cookie di sessione e cookie permanenti I cookie si dividono in due tipologie: i cookie permanenti e i cookie di sessione. I primi sono quelli discussi proprio nel paragrafo precedente, quelle piccole tarme che si annidano nel dispositivo dell'utente per collegarsi ogni volta al sito e passargli informazioni quali la nostra attività in sessione, i nostri gusti e cosa preferiamo vedere. Almeno non occupano spazio, sono grandi appena qualche kilobyte. Operano per fornire al sito web importanti dati sulla frequenza delle visite, sulle pagine e sulle tematiche preferite, in modo da migliorare il sito. I cookie di sessione, invece, sono quelli più numerosi e sono vitali per il funzionamento del sito, perché memorizzano informazioni momentanee che risultano fondamentali per svariate funzionalità: avete presente quei siti che avanzano a step? Quelli che usiamo quando prenotiamo treno (scegliere la partenza e destinazione, la data, il metodo di pagamento...), o quando mettiamo dei prodotti nel carrello o effettuiamo l'accesso al sito? Gli step avanzano memorizzando le informazioni dello step precedente tramite dei cookie temporanei di sessione. Una delle funzionalità principali dei cookie si ricollega alla forza che comanda il mondo e che tutti sognano di possedere: il denaro. I cookie vengono infatti sfruttati per comprendere le preferenze dell'utente e offrirgli pubblicità mirate alla sua attività in modo che veda ciò che gli piace e sia incentivato ad acquistarlo, così le vendite sono orientate e aumentano. Cookie di zero, prima e terza parte In merito alla raccolta dei cookie, esiste una distinzione importante da fare. I cookie zero-party sono inseriti manualmente dall'utente stesso, solitamente compilando un form o registrandosi al sito per ricevere un vantaggio, come ad esempio un ebook gratuito o l'iscrizione a una newsletter. Questi cookie sono utilizzati per instaurare una relazione più stretta con l'utente e personalizzare l'esperienza in modo più accurato. Al contrario, i cookie di prima parte sono raccolti direttamente dal sito web che l'utente sta visitando, per ottenere le classiche informazioni sulle sue preferenze e attività. Infine, i cookie di terza parte, detti anche third-party cookie, sono gestiti da un sito web diverso da quello visitato dall'utente, e raccolti da tutti i siti con cui l'azienda di terza parte collabora. Questi cookie servono sempre a personalizzare l'esperienza utente e gli annunci in base alle preferenze, ma rischiano di rappresentare una minaccia per la privacy dell'utente, poiché consentono di tracciare la sua attività online su più siti web. È importante, quindi, prestare attenzione alla raccolta e all'utilizzo dei cookie, rispettando sempre la privacy e garantendo una navigazione sicura e protetta.. Cookieless: cos'è e come ovviare al problema Nel 2017 Firefox bloccò i cookie di terze parti dal browser. Stessa cosa fece Apple nel 2019 su Safari. Google, con il proprio browser Chrome che è utilizzato dal 60% circa della popolazione mondiale, prevede di bandire i third-party cookie a fine 2024 (la data è stata spostata più di una volta). Tutto questo con lo scopo di tutelare la privacy dell'utente ed evitare di confiscargli anche l'anima fatta a dato. Ma lo notiamo anche nel quotidiano: ci sono sempre più persone che acquistano una certa consapevolezza di cosa stanno regalando e iniziano a rifiutare i cookie. Ci stiamo quindi avvicinando ad un web senza cookie di terze parti. Questo che significa? Per le aziende e chi si occupa di marketing, non è certo la miglior notizia. Non potendo usufruire dei cookie di terze parti sarà necessario adattarsi e scovare delle nuove tecniche per sopravvivere nel web utilizzando i Zero Party Data e i First party data. Quali sono dunque queste tecniche per ovviare alla rivoluzione imminente? CRM (Costumer Relationship Management): rappresenta un'alternativa interessante per le aziende che vogliono adattarsi al nuovo scenario del cookieless. Sfruttando i dati del CRM, come ad esempio le email, è possibile identificare e tracciare l'utente, offrendogli un'esperienza personalizzata e ad hoc. Grazie al CRM, le aziende possono acquisire informazioni preziose sui propri clienti, come le loro preferenze, i loro gusti, ma anche i loro bisogni e le loro necessità. In questo modo, è possibile creare un rapporto più stretto con il cliente, fidelizzarlo e incrementare le vendite. Tuttavia, è importante fare attenzione alla privacy dell'utente e rispettare le norme vigenti in materia di trattamento dei dati personali. In ogni caso, il CRM si conferma una strategia vincente per chi vuole sopravvivere nel nuovo web senza cookie di terze parti. Data integration: un altro dei modi per sopravvivere ai cookie è quella di integrare i dati provenienti da più piattaforme. Per chi ha un ecommerce Shopify può usare i dati provenienti dall'ecommerce integrandoli con il CRM aziendale, in modo da avere un profilo completo per ogni utente. Con ciò si possono usare i dati per personalizzare comunicazioni fidelizzando così il cliente finale. Mobile advertising: il mondo del mobile è in continua crescita, sempre più persone navigano sul web dallo smartphone. È consigliato dunque potenziare il mobile marketing, anche attraverso il Mobile advertising ID, un codice univoco del device che permette di risalire a informazioni di diverse entità (geolocalizzazione, indirizzo IP, app utilizzate) per poi integrarle e creare un profilo anonimo della persona. Tutto per sviluppare la campagna drive-to-store (attirare il cliente e spingerlo a comprare) e la campagna di geolocalizzata - avete presente quando su Spotify la voce dell'annuncio nomina la vostra città e rimanete con un senso di stupore forse anche di paura? Ecco, le campagne geolocalizzate si basano sulla posizione geografica fornita dal device dell'utente per proporgli contenuti pubblicitari adattati al suo territorio. Negli ultimi anni si fa sempre più importante il marketing concentrato sul locale e sulla zona dell'utente. Universal ID: Questi codici persistenti, noti come Universal ID, sono una valida alternativa ai cookie di terze parti poiché si memorizzano nel browser dell'utente, ma utilizzano una vasta gamma di ulteriori dati per offrire un'esperienza ancora più personalizzata. Questi includono informazioni provenienti da diverse piattaforme, app e persino email, che vengono integrate insieme per creare un profilo anonimo dell'utente. Ciò consente di fornire pubblicità altamente mirata e personalizzata in base alle preferenze e alle attività dell'utente, migliorando così l'efficacia delle campagne di marketing. Tuttavia, è importante rispettare la privacy dell'utente e garantire che i dati vengano utilizzati in modo etico e responsabile. Contextual advertising: un'altra validissima strategia è la pubblicità contestuale. Tale pubblicità è mirata e personalizzata apposta per l'utente, ma la differenza è questa: le informazioni per adattare la pubblicità non vengono presi dai cookie o dai dati dell'utente, ma bensì vengono riconosciute le parole chiave nel sito e in base al contesto e alla tematica vengono proposte pubblicità correlate. In questo modo, se un utente è interessato all'argomento del sito, potrebbe essere potenzialmente interessato all'argomento dell'annuncio Cookie e legge Negli ultimi tempi la sensibilità nei confronti della potenziale minaccia alla privacy di questi cookie è aumentata notevolmente, tanto è stata promulgata una direttiva UE nel 2009 (la 136/CE) che mira a regolamentare l'uso dei cookie. L'utente deve essere consapevole di cosa sta dando al sito. Tuttavia, si tratta di una direttiva, strumento che l'UE utilizza per obbligare gli Stati al raggiungimento di un certo obiettivo. Pertanto, ogni paese può scegliere come arrivare all'obiettivo prefissato. La soluzione più diffusa è stata inserire dei banner con cui un utente può acconsentire o meno di cedere i propri dati. Alcuni siti, oltretutto, non permettono all'utente di navigare se non accetta i cookie. Conclusioni Il cookieless rappresenta una vera e propria rivoluzione per il mondo del marketing online, che dovrà ripensare le proprie strategie per adattarsi a un nuovo scenario. Il rischio è che molte aziende, non pronte al cambiamento, possano arrancare e subire le conseguenze di una rivoluzione che sta già cambiando il modo in cui gli utenti vivono e navigano il web. Non ci saranno più cookie di terze parti a fornire informazioni su gusti, preferenze e abitudini degli utenti, ma ci saranno nuove possibilità e nuove sfide. È fondamentale, quindi, che le aziende siano preparate e sappiano sfruttare al meglio le nuove opportunità che il nuovo web senza cookie di terze parti può offrire. Solo così potranno rimanere competitive e prosperare nel nuovo scenario. Una delle soluzioni di cui abbiamo parlato in questo articolo è quella del CRM, piattaforma perfetta per raccogliere dati e per rispettare le norme sulla privacy, ancora meglio se come CRM si usa Hubspot. Ti lasciamo pertanto questa risorsa gratuita per approfondire il tema.
Se ti dicono di non leggere un libro perché maledetto, tu lo leggeresti lo stesso? Molto probabilmente sì, perché scatta un meccanismo nel cervello umano che si chiama reattanza, cioè una tendenza umana che reagisce in modo opposto a quanto richiesto o suggerito. In linea di massima questo è lo stesso principio del reverse marketing, una strategia di mercato che cambia il punto di vista e rompe gli schemi. Oggi tutti i brand sono impegnati a presentare i loro prodotti o i loro servizi in toni entusiastici, spiegando che i clienti dovrebbero scegliere loro perché sono i migliori. Ma sulla base di cosa sarebbero i migliori? Perché i clienti dovrebbero scegliere proprio loro? Questo tipo di marketing si sta appiattendo e rischia di risultare anonimo, addirittura fastidioso, agli occhi dei consumatori che vengono bombardati quotidianamente da pubblicità di ogni tipo. Sempre più aziende stanno virando su strategie alternative e innovative, come il reverse marketing, che ribalta completamente l’approccio del brand verso i consumatori finali. Il reverse marketing prevede che il brand parli male di sé. Potrebbe sembrare un controsenso, ma semplicemente cambia la prospettiva: l’obiettivo finale non è convincere l’utente a comprare, quanto piuttosto generare curiosità in modo non convenzionale affinché sia proprio lui ad avvicinarsi al prodotto, e non viceversa (in maniera similare a quanto avviene nell'inbound marketing). Cos’è il reverse marketing e come funziona Il concetto di reverse marketing non è nuovo, infatti fu teorizzato nel 1987 dagli studiosi M. R.Leenders e D.L. Blenkhorn. Oggi sono considerati dei visionari, ma i tempi non erano ancora maturi per una forma di pubblicità così alternativa e per certi versi aggressiva. La pubblicità tradizionale a quel tempo funzionava e non c’era motivo di cambiare rotta, quindi il reverse marketing iniziò a diffondersi solo una decina d’anni dopo, a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000. Questa particolare forma di marketing al contrario punta sempre sulla centralità del cliente, ma rapportandolo con l’ambiente e i fattori esterni che in qualche modo possono influenzare le sue scelte. Nel reverse marketing c’è una stretta interazione tra azienda e consumatore, ma è proprio quest’ultimo a fare il primo passo in modo spontaneo. Nel marketing tradizionale invece è l’azienda che segue il cliente, o meglio lo insegue, per spingerlo a compiere l’azione desiderata. Dal momento che sono i consumatori finali ad avviare il rapporto con il brand, di conseguenza sono anche più motivati a saperne di più di quel prodotto che acquisteranno con buone probabilità. Nell’acquirente la curiosità viene stimolata in modo decisamente insolita, parlando in modo critico e polemico nei confronti del proprio brand con una comunicazione per certi versi paradossale, in grado però di attirare i consumatori finali. Come mettere in atto una strategia di reverse marketing? Ormai tutti sanno cosa sono le tecniche di marketing tradizionali e come metterle in pratica, ma il reverse marketing ha un funzionamento totalmente opposto. Il reverse marketing punta a presentare prodotti ad un target specifico parlandone in modo negativo, ma con la sola scusa di indicare incentivi e vantaggi. L’obiettivo è avvicinare le persone in modo spontaneo che, attirate da questa forma di comunicazione inversa, sono incuriosite dal prodotto presentato. Questa strategia, a differenza di quelle tradizionali, non forza all’acquisto il cliente, che non viene trattato come un consumatore finale. Non si tratta di una semplice descrizione di un prodotto da acquistare, cosa che ormai fanno tutti, anche se l’obiettivo finale è lo stesso: vendere. Ed è qui che scatta la psicologia inversa, un meccanismo che spinge una persona a fare ciò che noi desideriamo, ma non in maniera esplicita. Possiamo riprendere l’esempio fatto ad inizio articolo, cioè quello del libro maledetto. Benché leggerlo sia proibito, vietato o fortemente sconsigliato il cervello umano viene spinto da una forza irresistibile e desidera farlo: questo è il già citato principio di reattanza. Le persone, spinte da un paradossale meccanismo di autodifesa, sono più attratte da ciò che è vietato, poiché non conoscere un potenziale pericolo fa più paura che conoscerlo, poiché almeno si hanno i mezzi per affrontarlo. Il reverse marketing sfrutta questi meccanismi del cervello per suscitare interesse e curiosità nelle persone. Quali possono essere i vantaggi del reverse marketing? Il reverse marketing sicuramente si pone come obiettivo finale quello di vendere, anche se perseguendo strade diverse rispetto alle tradizionali strategie. Tuttavia assicura anche una serie di vantaggi che sono i seguenti: Brand identity rafforzata. I brand si fronteggiano sui social con il lancio di numerose campagne di marketing. Il reverse marketing ti consente di differenziarti e quindi gli utenti, durante lo scroll, si fermeranno con più probabilità su un video in cui il brand parla “male” di se stesso poiché rompe le regole, rappresenta una novità da conoscere ed è utile per attirare nuovi contatti e fare lead generation. I contenuti diventano virali e possono raggiungere una platea più ampia di persone, così aumenta anche la visibilità del brand. Una maggiore visibilità non significa solo più traffico e più vendite, ma rafforza anche la stessa brand identity. Il tuo marchio viene percepito come una fonte autorevole nella sua nicchia di mercato, diventando un punto di riferimento; Fidelizzazione del cliente. Il reverse marketing fa percepire in modo diverso il brand agli occhi dei clienti, stanchi di accedere a contenuti che hanno come unico scopo quello di vendere. I tuoi contenuti devono essere di valore, cioè fornire informazioni pertinenti e utili per l’acquirente finale. Si viene così a creare un rapporto solido con il consumatore, che viene fidelizzato, e che trova nel tuo brand un punto di riferimento per risolvere effettivamente il suo problema; Marketing meno aggressivo. Le forme tradizionali di pubblicità sono invasive, disturbano il cliente, e quindi hanno poca presa sul grande pubblico. Il reverse marketing invece è discreto e poco aggressivo, anzi invita il cliente a stare alla larga da quel prodotto o da quel servizio, naturalmente con l’intento di stimolare la sua curiosità. Il brand si stamperà così nella mente del consumatore che, quando dovrà effettuare un acquisto, con ogni probabilità penserà proprio a quel marchio. Attenzione però perché tra tanti vantaggi possono nascondersi delle insidie. Quando si pianifica una strategia di reverse marketing bisogna studiarla nei minimi dettagli perché come possono arrivare buoni risultati possono arrivarne anche di cattivi. Il cliente potrebbe spaventarsi di fronte alle caratteristiche negative dei prodotti e potrebbe andare ad acquistare altrove pertanto le decisioni su questa tipologia di marketing devono essere ben ponderate. Altra cosa è quando si pianifica il reverse marketing bisogna creare attorno a questa strategia una struttura di acquisizione del dato degli utenti e studiare tutto un percorso che porti il lead a diventare cliente finale. Per questa ragione solitamente sono molto utili i progetti CRM. Esempi di reverse marketing vincenti Finora abbiamo analizzato il reverse marketing da un punto di vista teorico, passiamo adesso alla parte pratica elencando alcuni esempi di successo di reverse marketing. Nel panorama italiano una delle influencer che meglio ha saputo applicare la strategia di reverse marketing è ClioMakeUp, alias Clio Zammatteo, che tempo fa sul suo canale Instagram pubblicò un contenuto dal titolo “I prodotti Cliomakeup di cui mi sono pentita”. Già il titolo di per sé suscita interesse, ma il contenuto è ancora più efficace. L’influencer finge di parlare male dei suoi prodotti utilizzando una strategia capace di stregare l’utente. Durante tutto il video Clio sembra parlare in tono critico dei prodotti che ha lanciato, ma sempre in tono polemico elenca poi i loro vantaggi e i loro pregi. “Ogni volta che metto questo prodotto sembra che ho dormito 10 ore, che ho la pelle di una ventenne, e questo non va bene” - questa è una delle frasi che l’influencer dice durante il video, una delle tante ripetute per presentare in modo alternativo le eccellenti caratteristiche dei sui prodotti. L’obiettivo è sempre vendere, ma cambia il modo che risulta anticonvenzionale, ironico e intelligente. Altri marchi invece hanno utilizzato campagne di reverse marketing partendo da un divieto. Uno dei casi più emblematici è quello di Patagonia, che nel 2011 in occasione del Black Friday lanciò una campagna di reverse marketing offline tramite un’inserzione pubblicata sul New York Time. Sopra una giacca della Patagonia campeggiava a caratteri cubitali il divieto: “DON’T BUY THIS JACKET”, cioè “NON COMPRARE QUESTA GIACCHETTA”. L’intento del brand era sensibilizzare le persone sulle problematiche dettate da un mercato consumistico, che aveva un impatto negativo sull’ambiente. Benché la call to action appariva negativa e addirittura invitava a non comprare quella giacca, è stata proprio la comunicazione eco-friendly di Patagonia la carta vincente. Quella campagna infatti ha prodotto un aumento del 30% delle vendite di quella giacca, un altro esempio di come funzioni realmente il principio di reattanza. Una strategia simile è stata usata da Takis, marchio di patatine e snack piccanti. Il brand era molto forte in Messico e negli Stati Uniti, ma voleva conquistare anche il mercato del Canada dove era totalmente sconosciuto. E così ha deciso di fare irruzione nel mercato canadese con un’efficace strategia di reverse marketing tappezzando le città con manifestanti raffiguranti le tortillas piccanti e con la scritta “Don’t eat Takis”, cioè “Non mangiare Takis”. Le persone non sapendo cosa fosse Takis si sono incuriosite e così informandosi hanno potuto conoscere le caratteristiche dei gusti forti e piccanti, descritti appunto come troppo forti e troppo piccanti. In più, come ciliegina sulla torta, Takis ha reso la sua pagina Instagram privata per scoraggiare gli utenti dal seguirla. Naturalmente ha ottenuto l’effetto opposto e come risultato il brand dopo 6 mesi dalla campagna pubblicitaria ha registrato un aumento del 244% delle vendite. Conclusioni Tra le migliori strategie di marketing, soprattutto quelle “fresche” e moderne, rientra sicuramente il reverse marketing. La leva principale è il principio di reattanza: basta “proibire” o “vietare” alle persone di fare qualcosa, per ottenere esattamente l’effetto opposto. È sempre da ricordare di pensare alla strategia di reverse marketing sempre nell'ottica inbound cercando di mettere in piedi una struttura adatta alla gestione dei lead in entrata, ad esempio con un CRM. A tal proposito può darti una mano il nostro ebook, scaricabile gratuitamente a fine articolo, che ti spiega alcune strategie di marketing inbound adottate dalle aziende per soddisfare i bisogni degli utenti con i loro prodotti.
Il Customer Relationship Management (CRM) è una componente fondamentale per il successo aziendale: le sue funzioni permettono di condurre uno studio approfondito del target, andando a intercettare i suoi bisogni specifici e proponendo, poi, un’offerta personalizzata all’altezza delle sue aspettative. Avvalersi di un CRM significa anche semplificare - e in alcuni casi ridurre - la parte operativa del lavoro in un team, dando così a quest’ultimo la possibilità di concentrarsi su altri fattori chiave, come ad esempio quelli strategici. Nel corso del tempo possono avvenire degli “incidenti” che fanno comprendere l’esigenza di cambiare sistema CRM, come ad esempio quando in un e-commerce aumentano i prodotti in magazzino e quindi anche le richieste, contatti e i dati da analizzare, ma ci si rende conto che il sistema non riesce a stare al passo con queste “richieste”. In questi casi potrebbe diventare necessario valutare se il sistema CRM attuale è ancora in grado di soddisfare le esigenze dell'azienda e pensare, eventualmente, di migliorarlo o sostituirlo. In questo articolo, esploreremo i segnali chiave che indicano il bisogno di cambiare il sistema CRM e cercheremo di dare dei consigli per effettuare una transazione quanto più efficace possibile. Inoltre, vedremo come valutare le esigenze aziendali e i requisiti del nuovo CRM per selezionare la soluzione più adatta. CRM aziendale: segnali che indicano il bisogno di cambiare Quando un'azienda deve iniziare a considerare seriamente l'idea di cambiare il sistema CRM? Ci sono alcuni segnali chiave che possono aiutare a identificare il momento opportuno per questa transizione. Vediamoli di seguito. Ridotta soddisfazione dei clienti e scarsi risultati Se i clienti si lamentano di una scarsa esperienza o se i risultati delle campagne di marketing sono in calo, potrebbe essere il momento di valutare se il sistema CRM attuale sia in grado di supportare le necessità dell'azienda e fornire il livello di personalizzazione richiesto per mantenere i clienti soddisfatti. Limitazioni tecniche e scalabilità Un sistema CRM obsoleto potrebbe avere limitazioni tecniche che impediscono all'azienda di adattarsi alle nuove esigenze del mercato o di gestire l'aumento dei dati e delle informazioni dei clienti. Questo può ostacolare la crescita e la scalabilità dell'azienda. Il CRM non è user friendly Il CRM è uno strumento utilizzato sia dal team interno, che dai clienti stessi. È fondamentale che l’interfaccia funzioni bene, carichi rapidamente le pagine e sia facile e intuibile da utilizzare. Quando accade il contrario può diventare un problema per i flussi di lavoro. Il CRM non si integra con altri sistemi Quando ciò accade, si parla di vere e proprie barriere per la crescita aziendale, in quanto la mancanza di una struttura che consenta di fare data integration con altri sistemi aziendali oppure con gli ecommerce, diviene difficile lavorare e analizzare i dati. In quest’ottica qual è l’approccio ideale per una transazione efficace? Vediamolo nel prossimo paragrafo. Qual è l’approccio per una transizione efficace al nuovo sistema CRM Indubbiamente, quando si introducono dei cambiamenti in azienda, di qualsiasi tipo essi siano, la prima reazione è quella di disagio e riluttanza. Ma a volte i cambiamenti si rivelano essere fondamentali e allora è necessario seguire una strada formativa interna attenta. Probabilmente un primo consiglio potrebbe essere quello di pianificare la transizione, rendendola così più agevole. In secondo luogo una valutazione che forse si fa di rado è relativa al tempo che ci vuole per utilizzare un nuovo gestionale e alle relative predisposizioni delle persone nel capirlo. In una fase di transizione bisogna sempre prevedere un periodo di rodaggio, facendolo rientrare nel normale iter formativo, così come possibili errori che il team può commettere. Quali sono le valutazioni da fare per inglobare un nuovo CRM in azienda? Vediamolo nel prossimo paragrafi. Valutazione delle esigenze aziendali e dei requisiti CRM Prima di partire con un nuovo progetto CRM, è essenziale comprendere le esigenze specifiche dell'azienda. Questo include coinvolgere i team di vendita, marketing e assistenza clienti per identificare le funzionalità necessarie e i requisiti di integrazione con altri sistemi aziendali. Ciascun reparto in azienda ha le sue necessità e i suoi compiti, un CRM adeguato deve tenere conto di tutto questo e avere specifiche funzionalità a seconda dell’obiettivo. Una volta individuate l’operatività che il CRM deve garantire, bisogna selezionare quello più affidabile per l’azienda. Selezione di un nuovo CRM Questo processo richiede una valutazione approfondita delle opzioni disponibili, inclusa la considerazione dei costi, dell'usabilità, dell'assistenza clienti e delle capacità di personalizzazione. Un coinvolgimento attivo del team durante questa fase, può aiutare a garantire una scelta consapevole e un'adeguata adozione del nuovo sistema. Il team utilizzerà il CRM ogni giorno e dovrà essere utile soprattutto allo staff in ottica operativa, di conseguenza è importante ascoltare il suo parere in merito. Come già specificato nel corso di questo articolo è importante valutare una molteplicità di aspetti prima di introdurre un nuovo CRM in azienda, sebbene questa sia un’operazione necessaria e doverosa da fare. Una delle piattaforme che riesce a stare al passo con le esigenze dei vari team aziendali è senza ombra di dubbio Hubspot, che consente con una sola piattaforma di integrare tutti i dati provenienti da ecommerce, piattaforme social e altre applicazioni e di usare il dato raccolto per segmentare e comunicare in maniera personalizzata con i lead. Hubspot inoltre consente di avere tutti i dati derivanti dal reparto marketing, sales e service in un'unica piattaforma e di aumentare così il livello complessivo di customer experience. Conclusioni Cambiare il sistema CRM è una decisione importante che richiede attenta considerazione. Monitorare segnali come la soddisfazione dei clienti, le limitazioni tecniche, le difficoltà d’integrazione con altri software, aiuterà a capire quando è il momento di effettuare questa transizione. Un approccio strutturato, comprendente una valutazione delle esigenze aziendali e la selezione accurata del nuovo CRM, è fondamentale per una transizione efficace e per garantire che l'azienda possa continuare a sfruttare al meglio il potenziale delle relazioni con i clienti. Hubspot come detto rappresenta, ad oggi, uno dei CRM più completi da valutare per la propria azienda, per questo ti lasciamo il nostro ebook con le sue funzionalità gratuite che la piattaforma mette a disposizione. In ogni caso puoi sempre affidarti a degli esperti Hubpsot per farti guidare verso la soluzione migliore possibile, in linea con le tue esigenze.
Cosa si intende per crisis management? L’insieme delle procedure di comunicazione che aiutano un’azienda a rispondere a eventi critici - annunciati o meno - senza danneggiare l’immagine del brand. Nessuna azienda vorrebbe affrontare queste eventualità, ma purtroppo se si verificano bisogna essere preparati. Per questo motivo le crisi aziendali devono essere comprese in un piano strategico e bisogna preventivarne le conseguenze. La mancanza di preparazione in merito a eventi come questi, compromette la reputazione dell’azienda e mina la fiducia dei clienti, degli investitori e degli stakeholder. I ruoli cruciali nella preparazione delle strategie di crisis management sono i HR manager, il team di comunicazione e marketing, il team giuridico e la logistica. Le tipologie di crisi che si possono paventare sono crisi improvvise e crisi prevedibili. La differenza sostanziale sta nel fatto che le prime possono essere casi come incendi, emergenze sanitarie, infortuni o morti sul lavoro. Le seconde, dette anche issue management o risk management, possono essere casi come ristrutturazione aziendale, passaggio generazionale dell’azienda o possibili procedimenti legali. In entrambe le situazioni è importante che una base di azione sia sempre impostata, ma è il secondo tipo di crisi che effettivamente può essere incluso in una strategia e affrontato in modo efficiente. Vediamo nei prossimi paragrafi come è possibile prepararsi alle crisi aziendali e cosa bisogna fare per evitare danni all’immagine dell’azienda. Come prepararsi alle crisi aziendali Per affrontare efficacemente le crisi aziendali, è fondamentale seguire un processo di gestione della crisi ben strutturato, che si compone principalmente di tre fasi chiave. Queste sono: Analisi prima della crisi; Risposte operative ai rischi; Gestione della comunicazione - durante e dopo. Esaminiamo in dettaglio queste fasi e come prepararsi adeguatamente per far fronte alle sfide impreviste. Analisi dei rischi e pianificazione preventiva Una strategia fondamentale per affrontare le crisi aziendali è condurre un'approfondita analisi dei rischi. Questo processo coinvolge l'identificazione delle potenziali minacce che potrebbero colpire l'azienda, valutando la probabilità del loro verificarsi e l'impatto che potrebbero avere sulle operazioni e la reputazione dell'azienda. Basandosi sui risultati dell'analisi, l'azienda può sviluppare un piano di gestione delle crisi, che include procedure chiare e azioni preventive da intraprendere in caso di emergenza. In questa fase è importante tenere conto di questi aspetti: Probabilità che si verifichino gli eventi negativi; Possibili conseguenze della crisi - negative e meno negative; Probabile danno aziendale - valutando il danno finanziario, operativo e reputazionale. È importante pertanto che le aziende siano strutturate per raccogliere una buona quantità di dati da analizzare. Uno dei mezzi che le aziende usano è il CRM, che consente di immagazzinare dati provenienti dai clienti non solo per fare del marketing targetizzato ma anche per analizzare tendenze di mercato e problematiche riscontrabili tra azienda e clienti. Risposte operative ai rischi In questa fase bisogna prevedere le possibili risposte strategiche e operative alla crisi. Ciò potrebbe comportare l'implementazione di sistemi di monitoraggio avanzati per rilevare segnali di pericolo e attuare misure preventive tempestive. Ad esempio, nel caso del rischio sismico, l'azienda potrebbe investire in tecnologie di monitoraggio e miglioramento delle infrastrutture per ridurre i danni in caso di terremoto. Un altro possibile scenario potrebbe essere il temporaneo malfunzionamento dei macchinari di produzione. In questo caso lo stop alla produzione andrebbe preventivato per un periodo e incluso nelle spese aziendali. Al rischio di errori di duplicazione dei dati, le aziende potrebbero mettere in piedi sistemi di data integration tra piattaforme, ad esempio collegare l'ecommerce con il gestionale. O ancora casi di hackeraggio, che possono compromettere la privacy dei dati raccolti, può essere un’altra eventualità negativa che deve essere preventivata e gestita con sistemi di protezione avanzati. Comunicazione e formazione interna Questa è la fase clou di una crisi aziendale, quella in cui si decidono le sorti della stessa nei confronti dell’opinione pubblica. In primo luogo una crisi non va mai negata o nascosta, ma sempre ammessa e non solo, perché bisogna condividere anche il processo di azione che si intende intraprendere. Il responsabile della comunicazione, in collaborazione con il suo team e, se necessario, consulenti esperti, deve creare un piano di crisis communication. Questo piano prevede sia strategie di comunicazione proattive che reattive. È chiaro quindi che per prepararsi a una crisi aziendale, gli step da seguire siano tutt’altro che semplici. Bisogna riuscire a prevedere ogni dettaglio e non dare mai nulla per scontato. Vediamo nel prossimo paragrafo cosa bisogna fare in caso di crisi.. Come reagire alle crisi aziendali in modo efficace Per far sì che una crisi possa essere gestita al meglio bisogna predisporre un team di gestione apposito - in grado di utilizzare anche strumenti specifici - e lavorare molto sulla comunicazione esterna, evitando così la disorganizzazione nell'azienda sui ruoli da compiere. Avere sempre chiaro cosa dicono le persone della propria azienda, utilizzando quindi i social e il sistema di recensioni, diviene necessario per preventivare il modo di comunicare in caso di crisi. Vediamo nello specifico di cosa si tratta - rispettivamente ai due punti citati - nei prossimi paragrafi. Costruire un team di gestione delle crisi La creazione di un team di gestione delle crisi è un elemento cruciale per affrontare le emergenze in modo efficace. Questo gruppo dovrebbe essere composto dai principali responsabili decisionali dell'azienda e da esperti rilevanti, come rappresentanti delle relazioni pubbliche, del reparto legale e della gestione delle risorse umane. Inoltre, questo team, dovrà essere in grado di utilizzare anche specifici strumenti tecnologici - se richiesto - per monitorare una possibile crisi preventivata. Il team di gestione delle crisi sarà responsabile di prendere decisioni tempestive e informate durante l'evento critico, coordinando le azioni dell'organizzazione e comunicando con le parti interessate esterne. Il team di gestione della crisi deve individuare le principali issue o questioni cruciali che potrebbero sorgere durante la crisi. Inoltre, devono essere definiti i relativi stakeholder coinvolti, ovvero le parti interessate interne ed esterne che potrebbero essere influenzate dalla crisi. Questo aiuta a determinare i messaggi e le esigenze di comunicazione per ciascun gruppo. Inoltre, è essenziale identificare diverse vie di comunicazione da seguire durante una crisi. Ciò include comunicati stampa, discorsi ufficiali, post sui social media dell'azienda o dei suoi vertici e, se necessario, la preparazione di documenti di Q&A (Domande e Risposte) per rispondere alle domande frequenti. Per questo prevedere un progetto CRM per i processi aziendali potrebbe essere una delle soluzioni da adottare per la comunicazione con non solo all'interno dell'azienda ma anche con gli altri stakeholder. Migliorare la comunicazione esterna e la gestione dell’immagine La parte di comunicazione è alquanto fondamentale da gestire con attenzione, preventivando anche le possibili critiche e provocazioni a cui l’azienda potrebbe essere sottoposta. Da qui l’esigenze di avere sempre una panoramica aggiornata dei social aziendali. Una comunicazione trasparente, tempestiva e coerente con i media, i clienti, gli investitori e gli stakeholder può contribuire a mitigare i danni e a mantenere la fiducia del pubblico. È importante che l'azienda abbia un piano di comunicazione ben strutturato per fornire aggiornamenti costanti sulle misure intraprese per affrontare la crisi e sulle prospettive future. Conclusione Prepararsi alle crisi aziendali è essenziale per garantire la resilienza e la continuità operativa dell'azienda. Attraverso l'analisi pre-crisi, l'identificazione dei rischi, la definizione degli scenari, la preparazione delle risposte operative e la gestione efficace della comunicazione di crisi, le aziende possono essere pronte ad affrontare gli ostacoli con una strategia ben pianificata. La gestione proattiva delle crisi consente alle aziende di prendere decisioni tempestive ed efficaci, proteggendo la reputazione e la fiducia degli stakeholder, e contribuendo a trasformare le difficoltà in opportunità di crescita e miglioramento.
Oggi la quantità dei dati che un’azienda può avere a disposizione è molto ampia. È per questo motivo che bisogna imparare a raccoglierli e organizzarli, in modo da poterli utilizzare al momento giusto e nel modo corretto. I dati che un’azienda raccoglie grazie alle varie campagne marketing rappresentano un’opportunità unica per migliorare il proprio servizio, nonché per personalizzare le interazioni con i clienti. Pensiamo ad esempio a quando si decide di realizzare una landing page per generare conversione o anche, semplicemente, a quando con i social aziendali si interagisce con i propri possibili clienti. In entrambe queste situazioni l’azienda entra in contatto con informazioni importanti, che possono determinare il successo di una campagna di marketing, se amministrati bene. Tuttavia, gestire una vasta quantità di informazioni può diventare un compito arduo e controproducente, se non si dispone degli strumenti giusti per organizzarle ed elaborarle in modo efficace. Ed è qui che entra in gioco il CRM (Customer Relationship Management): uno strumento fondamentale per le aziende che desiderano sfruttare appieno il potenziale dei dati dei clienti. Scopriamo nei prossimi paragrafi quanto un CRM è fondamentale per un'agente di vendita. Perché un CRM è funzionale e fondamentale per gli agenti di vendita Un CRM è una soluzione software progettata per aiutare le aziende a organizzare, gestire e analizzare le interazioni con i clienti. Oltre a fornire un database centralizzato dei clienti, i CRM offrono una vasta gamma di funzionalità che consentono agli agenti di vendita e agli inbound sales di ottimizzare il proprio lavoro e migliorare l'esperienza del cliente. Un CRM funge da archivio di informazioni essenziali sui clienti, tra cui dettagli di contatto, cronologia delle interazioni, preferenze e altro ancora. Questo rende più semplice per gli agenti accedere rapidamente alle informazioni rilevanti di ciascun cliente, consentendo loro di personalizzare le interazioni e offrire un servizio più mirato. Il CRM consente agli agenti di vendita di conoscere in modo anticipato le loro esigenze, i loro dubbi e le loro necessità, così da proporre i servizi che più possono andare incontro alle loro aspettative. In questo senso, conoscere adeguatamente il prospect prima di interloquire con lui, pone l’azienda in una situazione di indubbio vantaggio rispetto ai competitor. Approfondiamo nei prossimi paragrafi quali sono i vantaggi di un CRM. Quali sono i vantaggi di un CRM per gli agenti di vendita Affidarsi al supporto di un CRM consente di avere sotto controllo i dati dei clienti, così da studiare con attenzione il loro comportamento d’acquisto, nonché il flusso dei loro interessi. Ma i vantaggi non sono legati solo al rapporto tra azienda e clienti, ma anche e soprattutto al lavoro degli agenti di vendita, che sono facilitati sia operativamente che strategicamente. In particolare i vantaggi per gli agenti di vendita di affidarsi a un CRM, come può essere Hubspot CRM, sono i seguenti: organizzazione dei dati dei clienti; gestione delle attività e dei compiti; monitoraggio delle opportunità di vendita; automazione dei processi; analisi e reportistica; collaborazione e condivisione delle informazioni. Organizzazione dei dati dei clienti Una delle principali sfide per gli agenti di vendita è la gestione e l'organizzazione di un'enorme quantità di dati dei clienti. Senza uno strumento adeguato, i dati possono essere dispersi e difficili da trovare. Un CRM offre un sistema centralizzato in cui tutti i dati dei clienti sono facilmente accessibili e ordinati in modo logico. Questo permette agli agenti di avere una visione chiara di ciascun cliente e di essere più preparati durante le interazioni. Al momento dei colloqui conoscitivi un potenziale cliente può avere delle rimostranze in merito a un servizio, ma questo lo si può già immaginare se si conoscono i suoi dubbi prima ancora di incontrarlo. Ecco perché diviene fondamentale raccogliere i dati dei prospect con attenzione, così da poterli studiare. Gestione delle attività e dei compiti Un altro beneficio chiave di un CRM per gli agenti di vendita è la gestione delle attività e dei compiti. Il software consente agli agenti di creare liste di attività, impostare promemoria e pianificare appuntamenti con i clienti. Questo aiuta a mantenere un flusso di lavoro organizzato e a non perdere di vista le attività importanti, migliorando così l'efficienza e la produttività. Avere a disposizione maggior tempo per preparare gli incontri con i clienti diventa molto importante e questo è possibile soltanto se è più facile gestire tutti gli altri compiti operativi e gestionali. Monitoraggio delle opportunità di vendita Con un CRM, gli agenti di vendita possono monitorare e gestire le opportunità di conversione in modo più efficace. Il sistema tiene traccia di tutte le interazioni con i lead e i clienti, consentendo agli agenti di identificare le opportunità di vendita e agire al momento giusto. Questo aiuta a massimizzare le possibilità di conversione e a incrementare le vendite complessive. Fare una verifica dei dati consente agli agenti di vendita di profilare i clienti e di distinguere tra quelli che sono realmente interessati e quelli che si stanno solo informando. Automazione dei processi I CRM offrono funzionalità di automazione che semplificano le attività quotidiane degli agenti di vendita. Ad esempio, l'invio di email di follow-up o promemoria di chiamate può essere automatizzato, consentendo agli agenti di risparmiare tempo prezioso. L'automazione riduce il carico di lavoro amministrativo, consentendo agli agenti di concentrarsi maggiormente sulle attività di vendita e sulla gestione dei clienti. Analisi e reportistica Un altro vantaggio significativo elle piattaforme CRM come Hubspot è la capacità di generare report e analizzare i dati dei clienti. Gli agenti di vendita possono accedere a report dettagliati sulle prestazioni individuali e del team, consentendo loro di identificare punti di forza e di debolezza. Queste analisi aiutano a prendere decisioni più informate e a sviluppare strategie più efficaci per aumentare le vendite. Collaborazione e condivisione delle informazioni Infine, un CRM facilita la collaborazione tra gli agenti di vendita e altri reparti aziendali, come l'assistenza clienti. Condividendo le informazioni dei prospect all'interno del CRM, gli agenti di vendita possono collaborare con altri colleghi per risolvere le richieste dei clienti in modo tempestivo e accurato. Questo miglioramento della comunicazione e della condivisione delle informazioni, aumenta l'efficienza complessiva dell'azienda e garantisce una migliore esperienza del cliente. Conclusioni I CRM sono strumenti fondamentali per gli agenti di vendita che desiderano ottimizzare il proprio lavoro e migliorare l'esperienza dei clienti. Grazie alla capacità di organizzare i dati dei clienti, gestire le attività, monitorare le opportunità di vendita, automatizzare i processi, analizzare i dati e favorire la collaborazione aziendale, i CRM rappresentano una risorsa indispensabile per le aziende moderne. Con un progetto CRM ben implementato, gli agenti di vendita possono ottenere un vantaggio competitivo, migliorare le prestazioni e raggiungere nuovi livelli di successo nel loro lavoro. Il miglior CRM per agenti è quello capace di dare una panoramica completa, intuitiva e facile da consultare in ogni momento. In questo senso Hubspot CRM potrebbe rispondere a queste aspettative.
Non possiamo più fare a meno dei motori di ricerca, sono come il fuoco, la macchina a vapore o altre invenzioni fondamentali per l’uomo e il suo vivere quotidiano. Nati qualche decennio fa come raccoglitori di siti web, sono ora uno strumento essenziale della nostra quotidianità che ci permette di raggiungere una quantità sterminata di informazioni da una miriade di fonti differenti. Sono l’astronave che ci accompagna nell’esplorazione dello sconfinato universo del web. Ormai è parte integrante delle strategie di marketing di un ecommerce o di un’impresa la SEO (Search Engine Optimization), l’ottimizzazione del posizionamento del proprio sito sul motore di ricerca. Cosa significa in parole povere? Quando apriamo il browser sul cellulare o sul nostro computer, e cerchiamo qualcosa, ci escono 10 siti con tanto di anteprima solitamente accattivante. L’obiettivo di una strategia SEO è posizionarsi (possibilmente) primi o comunque nella prima pagina di Google con il proprio sito, in modo da comparire tra le prime scelte di un utente che sta navigando online. Apparire tra i risultati in cima alla prima pagina è essenziale. Solo il 9% si inoltra fino in fondo alla prima pagina, e lo 0,44% si spinge addirittura fino alla seconda pagina. Pochi utenti tendono a scendere tra i vari link fino in fondo, piuttosto preferiscono cambiare la query nella barra di ricerca e tentare di spiegare meglio ciò che cercano e non trovano. Capiamo bene che la SEO è fondamentale, ma non esiste solo l’ottimizzazione del sito nella SERP (Search Engine Results Page). Ci sono altri due sigle che aprono a due concetti distinti ma collegati tra loro: SEA (Search Engine Advertising) e SEM (Search Engine Marketing). SEO, SEM E SEA: cosa sono? Cos'è il Search Engine Optimization La SEO è, come detto, l’ottimizzazione del sito web e dei contenuti finalizzata al miglior posizionamento possibile nella SERP. Negli ultimi anni, si rivelano fondamentali per fare SEO l’aggiunta di immagini o video e altri contenuti (si parla infatti di strategia di content marketing) chiave che possono essere mostrati in prima pagina per aiutare il più velocemente possibile l’utente che sta cercando una determinata cosa. Nacque all’incirca a metà degli anni ‘90 il termine SEO, ma l’ottimizzazione era iniziata anni prima. Tre tipi ne esistono, e sono differenziati nello stesso modo in cui sono divisi le 3 tipologie di hacker: White Hat, Grey Hat, Black Hat. La SEO White Hat è un’insieme di tecniche non solo ovviamente consentite ma caldamente consigliate da Google per migliorare il design e la struttura di un sito web con l’obiettivo di raggiungere le vette dei primi risultati in modo equo, lecito e competitivo. Il Black Hat, invece, è il contrario: sono tecniche illecite, non accettate dai motori di ricerca, tecniche sleali che danno un potente vantaggio iniziale ad un sito ma le conseguenze sono dannose e alle volte letali, dal momento che i browser stanno costantemente controllando e modificando gli algoritmi per bloccare queste tecniche e penalizzare gli sleali con la chiusura del sito web. Queste tecniche comprendono l’acquisizione di massa di link a pagamento, il riempimento della page di keyword e così via. La Grey Hat SEO è un mix delle due, una linea strategica che mira comunque soltanto a migliorare meramente i posizionamenti sulla SERP offrendo alle volte contenuti di qualità scadente, ma che comunque non viola le regole e non sfocia in comportamenti proibiti finalizzati al vantaggio sleale. Cos'è il Search Engine Advertising Come dice il nome Search Engine Advertising, il SEA comprende tutti i processi di marketing mirati a condurre sempre più visitatori nel proprio sito. Più budget dedichiamo a questa strategia, più successo otteniamo. Pagando il motore di ricerca è possibile posizionarsi nei primi posti sponsorizzati, vincendo l’asta tra tanti altri siti. Serve a garantire che ai primi posti si posizionino le aziende che sono interessate veramente all’attività d’impresa. Che differenze ci sono tra SEA e SEO? Innanzitutto i costi, dal momento che il SEA prevede una spesa più o meno cospicua per essere messa in pratica, al contrario della SEO che non richiede soldi in più. Le metodologie e i software utilizzati cambiano, ovviamente: se per il SEA si utilizzano piattaforme di advertising esterne come Google Ads, per la SEO ci si avvale dei CMS, come Hubspot CMS, e dei software legati alla gestione dei contenuti all'interno del sito. I tempi non sono gli stessi: mentre il SEA mostra risultati fin da subito e la durata è tanto lunga quanto si intende spendere, per la SEO è richiesto tanto lavoro e un costante miglioramento per portare e tenere il sito tra i primi posti sulla SERP. Cos'è il Search Engine Marketing La SEM, Search Engine Marketing, è il contenitore di tutte le strategie SEO e SEA per generare traffico sul proprio sito e portare lead potenzialmente interessati al prodotto o servizio. Alle volte si incappa nell’errore di parlare di SEM soltanto citando la SEA, confondendo i termini. La SEM comprende sia la SEA, quindi strategie di pagamento per risultare sponsorizzati nei primi posti della SERP, sia le attività di SEO per comparire nei primi risultati con il semplice potenziamento del sito lato on-site (contenuti) e off-site (link interni e esterni). SEO e SEA: Come funzionano? Il funzionamento della SEO La SEO, come detto, è l’ottimizzazione del sito per spingerlo in alto sulla pagina dei risultati di una ricerca google. Ci sono varie tecniche SEO che si possono sfruttare, vediamole meglio. La struttura, per esempio, si progetta per essere gerarchica e semplice per l’utente che naviga. I contenuti vengono distribuiti in modo omogeneo e schematico, con una linea precisa, non disposti a caso. Vengono quindi tolti i “muri di testo” e formattati i testi in modo leggibile e accattivante. Le immagini vengono ottimizzate, rendendole meno pesanti senza andare a intaccare la qualità; negli ultimi anni le strategie SEO includono contenuti di tipo foto e video da presentare all’utente. Vengono poi inseriti i link interni per navigare facilmente tra le pagine del sito e vengono perfezionati i meta tag (H1,H2,H3…, Title, URL). Le parole chiave sono fondamentali per permettere al motore di ricerca di posizionare bene il sito, ma non devono essere spammate perché si rischia di passare al Blackhat SEO. Anche i siti esterni (backlink) non vengono tralasciati nel completamento del sito, poiché sono una garanzia di affidabilità, di sicurezza, soprattutto se si tratta di siti importanti e autorevoli. Tutto ciò aiuta a migliorare il ranking del sito. Per ulteriori informazioni ti consigliamo di leggere il nostro articolo sulla SEO per ecommerce. Il funzionamento della SEA La strategia in questione si avvale di: strategie PPC (pay per click), ovvero si paga ogni volta che un utente clicca sul link sponsorizzato; strategie legate alla brand awareness, come il pay per impression; strategie pay per conversion, legate alla conversione effettuata all'interno del sito. Innanzitutto l’inserzionista individua le parole chiave con cui un utente può finire sul loro sito. Quindi procede nel creare gli annunci con le parole chiave, stabilendo un’offerta massima che è disposto a pagare per ogni keyword. Il ranking è deciso da un’asta a cui partecipano varie aziende per la stessa parola chiave. L’asta è vinta da chi offre di più, ma non solo: contano anche i contenuti e la qualità. Se un sito presenta una qualità eccezionale e migliore degli altri, può ottenere una posizione più alta senza sborsare troppo. I parametri di monitoraggio della strategia servono agli esperti per verificarne e migliorarne l’efficienza. Tra questi figurano: click sull’annuncio; impressioni (visualizzazioni dell’annuncio, che indicano la portata e l’efficienza); CTR (click through rate), rapporto tra click e impressioni; conversioni, azioni completate dall’utente dopo aver visto l’annuncio; CPA (costo per acquisizione), costo di ogni conversione; CPC (costo per click); spesa totale della campagna SEA; ROI (return on investment) e ROAS (return on advertisting spend), rapporto tra profitto generato e spesa totale; Cosa usare tra SEO e SEA? Dopo aver compreso cosa sono e come funzionano le due strategie che fanno parte del SEM, risulta probabilmente intuibile che sono entrambe fondamentali nel potenziamento del ranking sulla SERP. La SEO è ottima perché non presenta costi aggiuntivi e se applicata bene importa dei vantaggi duraturi al proprio sito. La SEA dà una spinta in più, basata sostanzialmente sul budget che si intende investire, e posiziona il sito tra i primi risultati sponsorizzati grazie anche alla qualità dei contenuti del sito web. Ogni strategia ha i suoi punti di forza e sono entrambe estremamente utili ed efficienti per portare visite al nostro sito. È utile affiancarle e sfruttarle in modo integrato, per raggiungere la miglior posizione nella SERP e aumentare l’utenza e la conversione dei lead. Quale strategia tra SEO e SEA è consigliata alle aziende? Per quanto riguarda le aziende più nello specifico, il consiglio è quello di usare il giusto mix tra le due strategie. La SEA solitamente viene usata dalle imprese startup e dai progetti ecommerce appena partiti per avere un boost iniziale su conversioni, nel caso l'obiettivo sia la lead generation, e vendite. Questo perché la SEO può essere considerato come uno strumento a lungo termine, infatti le aziende più affermate sono quelle con la SEO migliore. SEO e SEA sono incompatibili per le imprese? No, le due strategie si possono e debbono essere usate con il giusto mix. I grandi brand infatti, per mantenere il loro sito o ecommerce in prima posizione sulla SERP, non usano solamente la SEO, poiché potrebbero essere scavalcate da chi usa la SEA inserendo la loro keyword nelle campagne. Pertanto almeno una campagna di brand protection, insieme all'impegno verso la SEO, è consigliato averla attiva. Inoltre nelle startup è importantissimo sì fare advertising ma non curare la SEO significa essere costretti ad investire risorse in advertising anche a lungo termine, vista l'impossibilità di ottenere un buon posizionamento senza una strategia SEO. Il ruolo del CRM per la SEO e la SEA Ormai per gestire al meglio un ecommerce non si può fare a meno di un Customer Relationship Management, o CRM, un software specializzato nell'organizzare in un unico ambiente, accessibile a tutti i dipendenti, i contatti, i lead, le loro attività, le interazioni con essi e tutti i dati relativi. Ma come un CRM può aiutarci nel condurre le strategie SEO e SEA? È sicuramente un grande ausilio per raccogliere tutti i dati provenienti dalle campagne SEA e gestire le campagne stesse con l'obiettivo di portare sempre più visitatori sul sito ed accompagnarli fino a farli diventare clienti. Aiuta a monitorare da quali fonti i lead giungono sul sito (se tramite ricerca organica o un link condiviso, ad esempio, o magari ancora dalle campagne di advertising pagate) dando quindi indicazioni su cosa tra SEO e SEA sta funzionando o meno sul sito. Ciò che inoltre un CRM aiuta a fare è a creare e gestire i contenuti del sito, per ottimizzare la SEO e spingere il website nei primi risultati della SERP. Dalle campagne pubblicitarie e dalla SEO è possibile poi fare della segmentazione per trasformare il lead acquisito in cliente finale personalizzando tutta la fase di lead nurturing.
Hai mai sentito parlare di content velocity? In questo articolo proveremo a spiegarti di cosa si tratta e di come può aiutare l’azienda in una strategia di posizionamento SEO, ma non solo. Produrre contenuti in grande quantità, vuol dire dare un’immagine dell’azienda autorevole perché capace di generare contenuti aggiornati e utili ogni settimana. In ambito di una strategia di inbound marketing, la content velocity permette di raggiungere obiettivi di brand awareness, molto importanti per un’azienda. La content velocity può anche essere aumentata. Questo è possibile pianificando e organizzando un piano editoriale dettagliato, che permetta di rendere la produzione dei contenuti ancora più rapida. Approfondiamo nei prossimi paragrafi cos’è la content velocity e come può aiutare il posizionamento di un’azienda. Cos’è la content velocity La content velocity è la velocità con cui un'azienda genera e distribuisce contenuti nel corso del tempo. Si tratta di una metrica che misura la quantità di contenuti prodotti in un determinato periodo di tempo, come settimane, mesi o trimestri. La content velocity è un elemento chiave nel campo del content marketing e dell'ottimizzazione dei motori di ricerca (SEO), in quanto influisce sull'autorità, sulla visibilità e sul posizionamento di un'azienda nei risultati di ricerca rilevanti. L’obiettivo della content velocity è quello di contribuire ad aumentare il livello di coinvolgimento degli utenti. Indubbiamente, poi, aumentando la produzione dei contenuti è più facile anche creare dei funnel di conversione che comprendano post blog, pacchetti di mail nurturing o anche contenuti di approfondimento. Più sono i contenuti disponibili per il target, più le possibilità che loro intercettino delle informazioni utili aumentano, magari scaricando una guida apposita, più è facile che si sentano maggiormente coinvolti dall’azienda. Perché la content velocity è importante per le aziende La content velocity è importante per le aziende per diversi motivi. Innanzitutto, una maggiore content velocity consente di generare un volume più elevato di contenuti, il che può aumentare l'attrattiva del sito web per i motori di ricerca e migliorare il posizionamento nei risultati di ricerca. Inoltre, la content velocity può contribuire a costruire autorità tematica su determinati argomenti, posizionando l'azienda come un punto di riferimento nella sua industria. Pensiamo a un brand che ha l’obiettivo di posizionarsi sul mercato per un determinato argomento (salute, tecnologia, sport etc). Per far sì che questo avvenga, è necessario produrre un gran numero di contenuti mensili, sempre utili e aggiornati. Un altro esempio potrebbe riguardare gli e-commerce. Anche in quel caso, per posizionare il blog di un negozio online, parlando quindi dei suoi prodotti e di come quest’ultimi possano risolvere un problema del cliente potenziale, sarà necessario scrivere una grande quantità di articoli. (Per ulteriori info leggi il nostro articolo sui blog per ecommerce) In entrambi i casi, la content velocity risponde a questa esigenza. Questa strategia può portare a un aumento del traffico organico e dell'engagement degli utenti. Infine, una content velocity elevata consente di soddisfare le esigenze di un pubblico, oggi sempre più pretenzioso, e di rimanere competitivi in un mercato in continua evoluzione. Come aumentare la content velocity È possibile implementare la content velocity? La risposta è sì. Per aumentare la content velocity, è possibile adottare diverse strategie e tattiche. Ecco alcuni suggerimenti che potrebbero esserti utili: Pianificazione e organizzazione: sviluppare un piano editoriale dettagliato che identifichi gli argomenti chiave, le parole chiave e i formati di contenuto prioritari. Questo consentirà di gestire in modo efficiente la produzione dei contenuti e garantire un flusso costante di pubblicazioni; Team e risorse: creare un team dedicato alla produzione di contenuti e assegnare chiaramente le responsabilità e i ruoli. Assicurarsi di avere le risorse necessarie, come scrittori, editor e designer, per supportare l'aumento della content velocity; Processi efficienti: ottimizzare i processi di creazione, revisione e pubblicazione dei contenuti per ridurre i tempi morti e massimizzare l'efficienza. Utilizzare strumenti e software collaborativi per facilitare la comunicazione e la gestione dei progetti. In questo senso Hubspot è perfetto per gestire i contenuti e per la valutazione delle loro prestazioni; Cura dei contenuti: mantenere l'attenzione sulla qualità dei contenuti nonostante la velocità di produzione. Assicurarsi che i contenuti siano accurati, ben scritti, pertinenti per il pubblico e ottimizzati per i motori di ricerca, Riutilizzo dei contenuti: sfruttare al massimo i contenuti prodotti, riproponendoli in diversi formati e su diverse piattaforme. Ad esempio, un articolo del blog può essere trasformato in un video, in un podcast o in una serie di post sui social media. Conclusioni La content velocity è un elemento chiave per il successo delle aziende nel campo del marketing dei contenuti e dell'ottimizzazione dei motori di ricerca. Aumentare la velocità di produzione e distribuzione dei contenuti può avere un impatto significativo sull'autorità, sulla visibilità e sull'engagement degli utenti. Tuttavia, è importante mantenere l'equilibrio tra la velocità e la qualità dei contenuti, per garantire che siano accurati, utili e rilevanti per il pubblico di riferimento. Con una strategia ben pianificata e l'implementazione di processi efficienti, le aziende possono aumentare la content velocity e ottenere risultati positivi nel loro marketing dei contenuti. Indubbiamente l'automazione può aiutare a produrre tanti contenuti in modo rapido, ecco perché iniziare con un progetto Hubspot, rappresenterebbe un importante supporto. Nel frattempo ti consigliamo di leggere il nostro ebook gratuito.
2 ore. Centoventi minuti. Settemiladuecento secondi. Questo è il tempo medio di durata di un film, è un quarto di una giornata lavorativa, è il dodicesimo di un giorno, è il tempo che in media un italiano passa sui social ogni giorno. È un tempo decisamente lungo. Non ci credete? Provate a stare due ore con le mani in mano a fissare il vuoto. Non smetterete di controllare l’orologio e pregare che il tempo passi in fretta. Ogni italiano passa due ore sui social, e ciò significa solo una cosa: sono un ottimo strumento per fare marketing. Dopo tutto, non era difficile da capire. Chi legge e chi scrive passa lo stesso tempo a scrollare sui social, e conosce bene le potenzialità e l’efficienza (ma anche la fastidiosità, a volte) degli annunci sulle piattaforme. La domanda sorge spontanea: negli ultimi mesi, nel mondo del web dove tutto è dinamico e connesso e i cambiamenti ci mettono un attimo a diffondersi, qual è la piattaforma social migliore per fare marketing e promuovere i propri prodotti e servizi? Sicuramente non esiste una scelta unica e assoluta, non c’è un social migliore da tutti i punti di vista. Ognuno ha i suoi pro e contro, e la produttività e il successo delle strategie marketing cambiano a seconda del livello di compatibilità del social al modello di business con cui si opera. Ciò significa, in parole spicciole, che se offriamo servizi B2B e promuoviamo i nostri prodotti su Snapchat, nessun potenziale cliente abboccherà mai e tutti i nostri sforzi saranno completamente inutili. La cosa più consigliata, obiettivamente, è affidarsi ad un’agenzia con degli esperti per analizzare la propria forma di business in modo corretto e scegliere la migliore opzione su cui investire per fare social media marketing. Ma cosa ci dicono i dati generali? L’utilizzo e le preferenze delle aziende sui social Instagram è il social preferito in media dalle aziende. Una su due lo considera molto efficiente per fare marketing. A seguire, in termini di efficienza, completano la top 5 Facebook, Whatsapp business, Youtube e Tiktok. E per quanto riguarda la soddisfazione dagli investimenti? Il 35% delle aziende è contento dell’effetto del social media advertising, contro il 48% che trova difficoltosa questa strategia. Il rimanente 17% si dichiara insoddisfatto. E, infine, riguardo gli investimenti futuri previsti, la metà delle aziende ecommerce prevede di aumentare la somma profusa sul social media advertising. Il 37% manterrà gli stessi investimenti contro un 7% che li diminuirà e un 6% che rimane stabile sulla linea di zero investimenti nei social. Questo è ciò che emerge dal rapporto di Casaleggio Associati 2023, ma si tratta ovviamente di dati medi generalizzati che possono non combaciare con le esperienze singole di ogni azienda. Per fare marketing sui social crea il buyer persona e valuta i costi Nella selezione dei social perfetti - quelli che si adattano meglio al nostro business - su cui investire per fare marketing (soprattutto inbound marketing) nel 2023, si individuano due parametri che bisogna tenere a mente e utilizzare come paraocchi: buyer persona e costi. È importante infatti saper scegliere una piattaforma che raccolga un bacino di utenti potenzialmente interessati ai nostri prodotti o servizi, che sono quindi il nostro buyer persona. Non bisogna nemmeno trascurare l’aspetto economico però: ogni piattaforma ha i suoi costi ed è importante valutare bene a quale affidarsi e quanto spendere per non riscontrare delle malaugurate perdite. Il primo passo nella scelta di una strategia di marketing è l’individuazione del buyer persona di riferimento e l’adeguamento di tutte le azioni verso questo profilo di utenti. Come accennato prima, se si sceglie un social non frequentato dal nostro obiettivo di clienti, si va solo a sprecare risorse preziose. A seconda di chi si vuole raggiungere, infatti, è necessario applicare tecniche di avvicinamento, attrazione e comunicazione differenti. Sbagliare tecnica di comunicazione e piattaforma può rivelarsi altamente dannoso e infruttuoso, perciò è fondamentale analizzare e comprendere bene come parlare con i potenziali clienti. Per individuare un buyer persona, che come suddetto è la rappresentazione ideale di un cliente, ci sono molti studi da fare e parametri da tracciare, ci vorrebbe un articolo apposta per trattare approfonditamente l’argomento. È importante individuare dei buyer persona per il nostro business, con l’obiettivo di non sperperare soldi in annunci o inbound marketing mirati a persone che non saranno mai interessate al nostro business. Il buyer persona è una cosa molto più specifica e personalizzata del target. In generale i due termini vengono usati per lo stesso concetto, di solito, ma la differenza è fondamentale: il buyer persona è vivo, deve essere considerato una persona vera e propria con tutti i suoi difetti, pregi, interessi, lavori, hobby, tendenze, problemi, punti di forza e via dicendo. Il buyer persona è talmente personalizzato che può essere considerato al pari di una persona viva. Comunque, per un’infarinatura generale anche se ci vogliono ore e ore di analisi e creazione di un preciso buyer persona, le caratteristiche che possono interessare sono: dati demografici, quali età, genere, reddito, occupazione, stato civile, livello di istruzione; dati psicologici, come interessi e preferenze; dati geografici, ovvero in che città, regione, paese abita l’utente, per proporgli servizi attivi nei dintorni; I principali social per fare marketing nel 2023 LinkedIn Se il nostro target sono le aziende (B2B), il social di riferimento creato appunto per instaurare relazioni e collegamenti tra aziende duraturi e che non dobbiamo trascurare è sicuramente Linkedin. Con 300 milioni di utenti attivi al mese, la piattaforma è stata fondata proprio per farsi conoscere e trovare nuovi dipendenti, offerte di lavoro ma soprattutto clienti. L’età va dai 25 ai 65 anni, ed è utilizzato sostanzialmente per lavoro e pubblicità di prodotti e servizi. Molte aziende utilizzano questo social network collegato con un CRM, in modo non solo da avere all'interno di un unico database tutti i dati relativi ai contatti, ma anche di gestire tutta la strategia di content marketing con la pubblicazione automatica dei post dei blog oppure la schedulazione di post in determinati orari e giorni. Il minimo da pagare per le campagne ads è 10 euro, ma i risultati si iniziano a vedere quando si vanno a sborsare 30-50 euro al giorno. TikTok Quando si parla di fasce d’età più basse, prevalentemente tra i 16 e i 25 anni (ma anche dai 10 ai 15), l’opzione forse più valida tra tutte è Tiktok. È perfetta per promuovere i propri prodotti o servizi, grazie alla potenziale viralità dell'algoritmo dei social, con video brevi e per vendere sul Tiktok Shop. L’ottima segmentazione demografica divide minuziosamente per interessi e preferenze gli utenti, permettendo di mostrare annunci validi ad una vasta e precisa fascia di potenziali clienti. Il costo è leggermente più alto, si parla di un minimo di 50 dollari giornalieri per quanto riguarda le campagne e 20 dollari per quanto riguarda il gruppo di annunci. Ma i vantaggi dell’elevato numero di utenti e soprattutto della varietà potrebbero valere ciò che si paga. Instagram Instagram è la piattaforma che raccoglie il più grande bacino di utenti variegati. Le fasce d’età comprese sono praticamente tutte (dai ragazzini di 12 anni agli ultrasessantenni) e non è riferito ad un settore o una nicchia specifica: l’intrattenimento varia dai singoli e classici post alle storie temporanee, dalle dirette agli ultimi arrivati reel (copia di Tiktok). Su Instagram si possono sfruttare tre tipi principali di strategie marketing: inserzioni; foto e video dei prodotti in azione; influencer marketing, che su questa piattaforma funziona alla grande grazie alla vasta presenza di influencer molto seguiti; Instagram è eccellente per fare web reputation e marketing con contenuti foto e video. E i costi? Il sistema di campagne ads su Instagram si basa sostanzialmente su quanto denaro si investe. Esistono campagne da 10 euro e campagne da 1000 euro, il piano si sceglie all’inizio e non ci sono costi a sorpresa. A seconda della durata, del pubblico che si vuole raggiungere e dei contenuti si debbono versare più o meno soldi. Facebook Poi c’è Facebook, che basicamente è simile a Instagram per quanto riguarda il target, anche se le fasce d’età si spostano verso il vecchio per abbracciare un pubblico medio compreso dai 35 ai 60 anni. La questione costi è la stessa di Instagram, e anche gli strumenti di gestione delle campagne ads dal momento che fanno entrambi parte di Meta. È ottimo per chi ha come modello di business il B2C ma data la vasta presenza di persone sulla piattaforma e la possibilità di creare interazione rapida con i clienti, non è malvagia l’idea di fare marketing B2B su Facebook. Anche Facebook può essere integrato con i CRM. Ad esempio, con Hubspot, possono essere gestite tutte le conversazioni con un contatto aziendale tramite la inbox. Inoltre l'integrazione Facebook e CRM è fondamentale per l'allineamento del reparto sales con il reparto marketing nell'impresa. Youtube Come non citare Youtube, che a detta di molti sta diventando la nuova televisione. I creator su Youtube hanno un grosso seguito e le inserzioni o l’affiliate marketing sono perfette per un business B2C. Gli youtuber trattano temi abbastanza circoscritti ed è facile individuare quelli che nel loro bacino di iscritti hanno potenziali nostri clienti. Non è da escludersi il marketing B2B su Youtube, poiché a differenza degli altri è anche un social dove gli utenti non subiscono solo i contenuti ma li cercano attivamente: è bene essere presenti e portare dei contenuti di qualità per fare marketing ma anche web reputation. D’altronde è il primo motore di ricerca video, ed è utilizzato dal 92% degli italiani per informarsi, secondo una ricerca di Oxford Economics. Costi? Indicativamente, concorrono più variabili per determinare il prezzo degli annunci, si va sui 30-50 centesimi per click sull’annuncio, con una media di 10 euro al giorno minimo. Per chi vuol fare inbound marketing questo social è uno dei migliori perché il funzionamento è molto simile a quello che succede con Google: grazie a contenuti ben studiati possono essere promossi prodotti e aumentare le visite del proprio sito. Se hai un ecommerce Shopify può esserti utile il nostro articolo sul vendere su YouTube con Shopify. Twitter Al contrario di Facebook o Instagram, dove l’obiettivo base è l’interazione tra utenti vicini e amici, Twitter nasce come piattaforma di notizie, discussione e microblogging. È valido per farsi conoscere, per dare notizie sull’azienda e per affermare la propria autorevolezza. Inoltre il 47% degli utenti che vanno sul sito tende a visitare il sito dell’azienda. Non è il social più utilizzato, ma rimane una valida alternativa, per le inserzioni e anche per la presenza di Twitter Analytics, utile strumento per monitorare in tempo reale tendenze e sviluppi. I tweet e gli account sponsorizzati costano dai 50 centesimi ai 5 euro per coinvolgimento di un utente. È possibile anche finire sponsorizzati nelle tendenze per un giorno, cosa però esclusiva per le grandi aziende dal momento che si arriva a spendere 150.000 euro al giorno (!). Conclusioni Come detto, non esiste un social perfetto da tutti i lati per ogni modello di business. Nel considerare i costi, oltre a tenere in considerazione i budget minimi illustrati sopra, bisogna valutare diversi parametri importanti come, tra i tanti: CPV (costo per visualizzazione), CPC (costo per visite sul profilo o sul sito), CTR (percentuale di utenti che cliccano sull’annuncio), CR (tasso di conversione, quindi percentuale di utenti che hanno compiuto una determinata azione), CLV (Customer Lifetime Value, quanto guadagniamo da ogni nuovo cliente), CPM (costo per mille visualizzazioni dell’annuncio). Generalmente, è conveniente sfruttare più social insieme e integrare le varie campagne, anche perché, ad esempio, certe piattaforme sono più adatte nelle prime fasi del funnel (scoperta prodotto) ma valgono meno negli step finali (chiusura della trattativa). Ti indichiamo per approfondimento il nostro ebook gratuito su come iniziare una campagna di inbound marketing in 9 step.