Cosa sono i dark pattern, i “percorsi” oscuri e manipolatori del web

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In un mondo commerciale sempre più “cliente-centrico” sono nati i dark pattern, cioè “percorsi” o “sistemi” oscuri in grado di manipolare le azioni degli utenti del web, spingendoli a fare cose indesiderate.

I dark pattern sono in netto contrasto con il concetto di privacy e in particolare con la tutela e la protezione dei dati personali degli utenti che navigano sul web. La normativa GDPR ha quindi introdotto strumenti per tutelare la riservatezza delle persone e impedire alle aziende di carpire dati sensibili con l’inganno. 

Magia nera? Psicologia inversa? Nulla di tutto questo, la spiegazione è molto più semplice. I dark pattern sfruttano la “pigrizia” dell’utente medio o, semplicemente, occultano o rendono poco visibili informazioni importanti relative al trattamento dei dati personali. 

Ogni sito web dovrebbe progettare un’interfaccia utente (UI o User Interface), che si frappone appunto tra la macchina e la persona, chiara e trasparente. Al contrario i dark patterns rendono la UI poco fluida e soprattutto per nulla cristallina.

Cosa sono i dark pattern?

I dark pattern rappresentano un neologismo coniato da Harry Brignull, ricercatore e UX designer statunitense, e fanno riferimento a interfacce o percorsi che guidano l’utente a compiere un’azione non desiderata. Come spiega lo stesso Brignull i dark pattern sono situazioni in cui è molto facile infilarsi, ma diventa estremamente difficile uscirne, come una sorta di labirinto.

I dark pattern nel marketing sono molto utilizzati ma, al di là dell’aspetto etico, è opportuno sottolineare che sono in evidente contrasto con le norme del GDPR. Eppure alla base dei dark pattern ci sono addirittura studi di scienza cognitiva che monitorano attentamente il comportamento umano, tant’è che questi strumenti si sono sviluppati inizialmente in ambito psicologico o dell’economia comportamentale.

Quali vantaggi traggono le aziende? Possono carpire fraudolentemente dei dati da utilizzare per ricerche senza il consenso degli utenti, oppure aumentare gli iscritti su una pagina Facebook che determina un aumento del fatturato. Non a caso il design di siti web o email in alcuni casi è molto approssimativo, proprio per nascondere all’utente informazioni importanti. In tale contesto si vanno ad inserire i cosiddetti bias cognitivi, un concetto decisamente interessante poiché fa credere agli utenti di avere il pieno controllo delle proprie scelte, quando in realtà non è così.

Cosa si intende per bias cognitivi?

Gli psicologi israeliani Tversky e Kahneman hanno introdotto il concetto di bias cognitivo, cioè errori che il cervello umano compie con una certa frequenza nei quali può incorrere chiunque indipendentemente dal sesso, dall’età, dall’estrazione sociale e dal livello culturale.

Il cervello si basa su una serie di dati di partenza per prendere una decisione e formulare soluzioni, pensieri o idee con la convinzione teorica e inconscia di agire in modo logico e lucido. In realtà, secondo i due psicologi, si tratta di errori del pensiero poiché l’elaborazione delle informazioni iniziali vengono semplificate portando l’essere umano a fare errori di valutazione.

Nella vita di tutti i giorni motivazioni individuali, emozioni o pressioni sociali possono spingere le persone a dare valutazioni sbagliate su determinati episodi o dinamiche. Sul web invece la fretta, il poco tempo o il desiderio di risolvere il proprio problema in fretta spingono le persone a compiere azioni non necessarie.

Dark pattern e bias cognitivi: un mix “esplosivo” che influisce sulle scelte degli utenti

I bias cognitivi, alleandosi con i dark pattern, spingono gli utenti a compiere azioni apparentemente sensate e logiche, ma in realtà condizionate. 

Il “segreto” dei dark pattern è proprio questo: convincere gli utenti di essere padroni delle loro azioni, quando invece ci sono dei fili invisibili che li muovono come se fossero dei burattini. 

Di seguito un elenco degli esempi di dark pattern o bias cognitivi più frequenti e diffusi nel web.

Prezzi scontati sfruttando l’effetto scarsità e urgenza

Uno degli esempi tipici di bias cognitivi si verifica quando le aziende promuovono lanciano un servizio o un prodotto sfruttando l’effetto scarsità e l’effetto urgenza. Il consumatore viene spinto ad acquistare un prodotto ad un prezzo scontato nell’immediato, poiché sta per esaurirsi o perché la promozione è limitata nel tempo. Probabilmente l’acquirente non ha bisogno di quel prodotto, ma decide ugualmente di comprarlo semplicemente perché gli sembra un buon affare.

In realtà non c’è nulla di illegale, anzi sono parecchie le aziende che utilizzano questo sistema per aumentare le vendite in un determinato periodo. Promozioni simili si verificano quando ci sono eccedenze in magazzino o quando sta per essere lanciata una nuova collezione di prodotti, quindi la vecchia deve essere smaltita.

Quando la disiscrizione da una newsletter diventa impossibile

Iscriversi alla mailing list di un sito web è estremamente facile e richiede solo pochi passaggi. Le aziende ovviamente hanno tutto l’interesse che diversi utenti si iscrivono alla mailing list, così da poter inviare loro promozioni, sconti e offerte per aumentare le possibilità di vendita.

Tuttavia dopo un po’ di tempo l’utente potrebbe decidere di disiscriversi, magari perché non è più interessato a quella tipologia di prodotti o perché la sua casella di posta viene quotidianamente inondata di email da parte di quell’azienda.

Qui il discorso si fa molto più complicato, poiché le aziende fanno di tutto per non perdere i loro potenziali clienti. Ecco quindi che il percorso di disiscrizione diventa una vera odissea per l’utente, che si scoraggia e decide di rinunciarvi.

Inserimento di dati personali non necessari

In alcuni casi all’utente, quando sta per usufruire di un servizio, vengono richiesti dati non necessari. Dopo aver inserito username e password può essere richiesto il proprio indirizzo email per sincronizzare i contatti. 

In realtà l’inserimento dell’email non è obbligatorio e si può tranquillamente usufruire del servizio anche senza. Questo però non viene specificato, inducendo l’utente in inganno e costringendolo a lasciare l’email, dove ovviamente vengono inviati messaggi promozionali a raffica.

I dark pattern sono inutili e dannosi: ecco soluzioni alternative 

Le aziende che fanno uso dei dark pattern possono pensare di trarre beneficio ingannando o comunque essendo poco chiari con i loro clienti. Forse in parte è così, ma solo sul breve periodo. 

Sul medio-lungo periodo il cliente capirà di essere stato raggirato e inizierà a provare una sorta di astio verso l’azienda, poiché a nessuno piace essere preso in giro.

Non c’è bisogno di ricorrere a metodi spesso al limite della legalità, come i dark pattern, ma è sufficiente dotarsi dei giusti strumenti messi a disposizione dalla tecnologia. Shopify Plus, ad esempio, è uno dei migliori alleati per chi ha un e-commerce, poiché mette il cliente al centro del progetto instaurando un rapporto chiaro e trasparente e velocizzando tutte le operazioni inerenti al marketing.

Oltre, alle importanti funzionalità che ti aiutano ad aumentare le vendite, con Shopify puoi raccogliere in modo chiaro e trasparente i dati dei clienti per tracciare il comportamento in linea con le normative GDPR.

I principi del GDPR da rispettare

I dark pattern sono strumenti che si muovono al limite della legalità, spesso oltrepassando i confini, e quindi possono essere puniti severamente con multe pesanti. A tal proposito vale sicuramente la pena ricordare 3 dei principi più importanti del GDPR:

  • Trasparenza;
  • Privacy by design; 
  • Consenso dell’interessato. 

Trasparenza

Uno dei primi concetti evidenziato dalla normativa GDPR è quello della trasparenza, principio cardine del diritto europeo in termini di protezione dei dati personali. Non solo l’utente deve capire esattamente come sono usati i suoi dati, ma devono essere predisposti percorsi facilmente accessibili che gli consentono di leggere e capire la normativa. In questo modo può decidere quali dati rilasciare e quali no e in che modo vengono trattati.

Le informazioni destinate al pubblico devono inoltre essere di facile comprensione, quindi accessibili e caratterizzate da un linguaggio chiaro e semplice.

Privacy by design

Secondo il principio della privacy by design la protezione dei dati deve essere integrata nell’intero ciclo di vita della tecnologia, cioè dalla fase di progettazione fino alla distribuzione, all’utilizzo e all’eliminazione finale.

A questo concetto si affianca il principio della privacy by default, secondo il quale le impostazioni di tutela della vita privata, che riguardano servizi e prodotti, devono rispettare i principi generali della protezione dei dati, come la limitazione delle finalità e la loro minimizzazione.

Consenso dell’interessato

Un altro aspetto che le aziende spesso ignorano volutamente è il consenso dell’interessato. Secondo il Regolamento Europeo l’utente deve manifestare apertamente e liberamente il proprio assenso all’utilizzo dei suoi dati personali.

“Estorcere” l’iscrizione ad una mailing list, ad esempio, risulta una pratica scorretta e anche controproducente, poiché a lungo andare l’utente se non è interessato procede alla disiscrizione e l’esperienza con quel brand non risulta certo positiva. Tra l’altro esistono oltre 23 modi per far crescere la propria mailing list in modo corretto e soprattutto produttivo, quindi non c’è bisogno di ricorrere a pratiche fraudolente o estorsive.

Analisi finali

Non esiste un vero vuoto legislativo sulla materia, ma quando si tratta di privacy il confine tra lecito e illecito è sempre molto sottile. 

In conclusione si può dire che strategie basate sui dark pattern sono destinate ad essere fallimentari, sia perché violano i principi del GDPR sia perché a lungo andare allontanano i clienti anziché fidelizzarli.

Oltre a minare la fiducia dei consumatori, chi ne fa uso rischia sanzioni pesanti per violazioni dei principi sulla protezione dei dati personali. Meglio quindi rimanere sulla strada della legalità e dare impulso alle proprie idee sfruttando gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia.

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