Quando dovete sviluppare un nuovo sito web (per presentare un prodotto, un’azienda o une commerce che sia) uno degli aspetti che sottovalutate tutti - si lo so che magari c’è quello fissato, ma generalmente siete in pochi - è quello della sicurezza. Con tutte le assicurazioni del caso dell’azienda alla quale vi rivolgete per costruire il vostro sito, è molto probabile che vi venga proposta un sito in Wordpress, un sito in Magento, un sito in Prestashop. Cos’hanno in comune tutte questi software che servono per realizzare un sito di qualche genere? Sono tutti degli open source. Cosa significa open source? Si tratta di software con il codice sorgente (source) “aperto” (open), ovvero, accessibile a tutti. In pratica software che qualunque programmatore può utilizzare, modificare come vuole e distribuire. Nella maggior parte dei casi, come per esempio Wordpress, il software open source viene sviluppato con una collaborazione pubblica (una community) e viene reso disponibile gratuitamente. Tradotto nella pratica, io posso scaricare il software Wordpress, modificarlo, caricarlo su un mio server e costruirci il mio sito sopra, personalizzandolo come voglio, modificando anche le funzionalità in profondità. Tutti conosceranno il codice sorgente del mio sito, non è qualcosa di chiuso e conosciuto solo da chi mi ha sviluppato il software: è conoscenza pubblica diffusa. Significa, anche, che non sarò mai vincolato ad un produttore di software, posso rivolgermi a sviluppatori liberamente sul mercato e cambiare quando mi fa più comodo. Questa filosofia ha permesso a certi software, come ancora Wordpress, di proliferare ed evolvere, aggiungendo funzionalità e miglioramenti, versione dopo versione. I problemi dell'open source Il lato oscuro dell’open source è connaturato negli apparenti vantaggi: il fatto che sia gratuito induce a pensare che ci siano meno costi, ma in realtà, sul lungo termine, non è per nulla vero (il costo di gestione e di manutenzione di sistemi complessi, come gli eCommerce, fa diventare l’opensource caro nel tempo); il fatto che il codice sia “aperto” e comprensibile per tutti spinge verso un miglioramento continua, ma lascia per strada bug e problemi di sicurezza (se tutti hanno la chiave della porta di casa tua, come fai a tener fuori i ladri?); il fatto che sia “visibile” quello che fai per migliorarlo, ti impedisce di costruire un asset di valore esclusivo per la tua azienda. Ma se vogliamo entrare nel dettaglio dei problemi che l’open source comporta, è abbastanza facile. La maggior parte delle aziende non conosce tutto il software utilizzato, sopratutto quando non ci sono rigide politiche di amministrazione e di permessi sui sistemi operativi utilizzati. La facilità con la quale si ottiene e si utilizza il software open suore è la parte affascinante del sistema, ma causa anche gran mal di testa ai dirigenti IT, ai quali sfugge, spesso, quanto e quale software open source si stia utilizzando all’interno dell’azienda. Se non sai quali e quanti programmi open source si stanno utilizzando all’interno della tua azienda, come fai a sapere quali vulnerabilità hai e dove cercare? Ancora: la maggior parte delle aziende che usa software opensource non ha chiarissimo quali tipi di licenza open source sti utilizzato. Open source Initiative, un’organizzazione senza scopi di lucro che promuove l’uso del software open source, elenca 80 differenti tipi di licenze open source, tutte che presentano regole e requisiti per poter utilizzare il software. Questi requisiti tecnici nella licenza possono essere anche tecnicamente complessi. Alcune licenze richiedono agli sviluppatori di condividere eventuali modifiche al codice sorgente, altre no. Alcune hanno restrizioni con ritorsione per l’uso dei brevetti. Altre possono essere utilizzate per scopo educativo e non commerciale… Insomma il panorama è vario e le aziende non eseguono una mappatura dei requisiti quando usano il software open source. Aggiungiamo il fatto che non sempre i termini delle licenze sono la cosa più chiara del mondo, e da qui un ulteriore grattacapo. Anche sottostimare il costo reale dell’open source è un grosso problema con il quale le aziende si trovano a fare i conti. Una delle spinte all’utilizzo del software open source è quella di cedere al miraggio di poter utilizzare qualcosa senza pagare nessuno per farlo. Non è una cosa banale. Secondo Mark Driver, vicepresidente e direttore della ricerca in Gartner, le aziende spesso non riescono proprio a calcolare il costo totale per l’utilizzo e la gestione del software open source che si sceglie di utilizzare. Spesso, inoltre, si sottovalutano l’impegno, il tempo e i costi necessari del personale per mantenere l’open source, oltre a gestirne eventuali problemi. Per riuscire a farlo bisognerebbe stabilire quali sono i livelli di servizio richiesti per il codice open source, tenendo conto delle criticità e stimando i tempi di intervento per risolvere I problemi di sicurezza di Wordpress Uno dei software open source più famosi è sicuramente Wordpress, che fa da supporto ad un sacco di siti online. Ed è anche uno dei sistemi più “bucati” dagli hacker, con i maggiori problemi di sicurezza. Il 90% dei siti hackerati è costruito su Wordpress. Il dato lo sviscera goDaddy, dopo aver analizzato 18.302 siti hackerati Magento segue al secondo posto dei siti più hackerati, al 4,3, complice anche la minor diffusione del software di commerce (anche se gli hackeraggi dei software di e-commerce possono avere delle ripercussioni molto più gravi sul business, rispetto a quelle per i siti generici: pensare se viene hackerata il modulo della carta di credito e i pagamenti vengono indirizzati presso una banca differente, per esempio…). I problemi di sicurezza più comuni che può incontrare un sito web sono il Brute Force Attack (sistema utilizzato da un hacker per individuare la password, tentando tutte le possibili combinazioni) e il File Inclusion Exploits (si inietta un comando per acquisire privilegi e disponibilità di risorse all’interno di un sito). Le ragioni per le quali si riesce a bucare tanto facilmente un sito in Wordpress possono essere molteplici. Non solo il codice sorgente “aperto” ma anche altre condizioni che questa tipologia di software porta con se. Anche la scelta di un hosting rispetto ad un altro può condizionare in maniera importante le performance du sicurezza. Visto che Wordpress si scarica e si può installare su qualsiasi server con Php e un database MySQL, la quantità di servizi di hosting tra cui scegliere diventa enorme. Non tutti offrono le stesse garanzie di sicurezza (non solo di performance). L’utilizzo di password deboli è un altro fattore che incide notevolmente sulla fase di hackeraggio di un sito in Wordpress. Potrebbe essere quella dell’amministratore di Wordpress, quella del pannello amministratore del web hosting, dell’account FTP, dal database MySQL o anche quella dell’account email dell’amministratore di Wordpress. Sono tante password (rispetto ad un sistema in SaaS che he ha una solo per tutti) e il livello di attenzione e di sicurezza dovrebbe essere più alto. Lasciare la directory wp-admin non protetta da password è un’altra causa di debolezza e fonte di attacchi, così come i permessi sbagliati sui file del software, l’uso dell’FTP anche dell’SFTP per accedere ai file. Non dimentichiamoci dell’assoluta necessità di mantenere aggiornati i plugin che si utilizzano, così come pure il software Wordpress: gli update del programma servono spesso a sistemare bug e problemi di sicurezza. Non farli velocemente significa lascia il proprio software esposto, visto che i malintenzionati hanno accesso a tutta la documentazione sui problemi che sono stati risolti con gli aggiornamenti. La soluzione? Per me è semplice: l’utilizzo di software SaaS, in abbonamento, facili da implementare all’interno delle aziende e liberi dai problemi di gestione tecnica, oltre che connaturati alti gradi di sicurezza. Qualche esempio: la posta elettronica e la produzione di documenti su G Suite, i siti Hubspot, Hubspot CRM, l’eCommerce con Shopify… Si abbattono le problematiche tecniche, si incamerano costi certi, non c’è bisogno di complicati e costosi contratti di assistenza, si lavora su server sicuri e su piattaforme “blindate”. Le cose interessanti arrivano poi quando pensi di trasformare un software come Wordpress in un sito-piattaforma per fare inbound marketing (per creare il sito, le landing page, le call to action, i form, gestire la pubblicazione sui social, le newsletter...): ne esce un mostro con un'impossibile quantificazione dell'impegno e dei costi, un vero e proprio FRANKENSPOT!
Appartengono al settore chimico tutte quelle aziende che si occupano di trasformare materie prime in sostanze più complesse attraverso processi di natura, per l'appunto, chimica: possono creare materiali intermedi o prodotti finiti e questi prodotti sono destinati generalmente ad altre aziende, che utilizzano, rivendono o distribuiscono, a loro volta, il materiale trattato chimicamente. Il contesto commerciale delle aziende del comparto chimico In un contesto puramente commerciale, dunque, le aziende che si occupano della lavorazione chimica degli elementi grezzi rientrano nel settore del Buyer To Buyer, denominato anche con la sigla B2B: ciò significa che non trattano mai con il cliente finale, con il consumatore finale, quello che va a fare la spesa, per intenderci (quella tipologia di vendita viene invece chiamata Buyer To Consumer, ovvero B2C). Le aziende del settore della chimica, quindi, in qualunque ambito vogliamo considerarle, si rivolgono esclusivamente ad altre imprese. E vendere ad un'azienda è molto più complesso che vendere ad un privato - che, diciamocelo, con i tempi che stiamo vivendo, non è comunque una cosa semplice - poiché i fattori che vanno ad incidere sulla transazione sono decisamente molti di più ed entrano in gioco relazioni, opinioni, processi e budget. Il primo problema per ogni azienda - e quindi anche per tutte le aziende del reparto chimico - è anche, forse, il più impattante a livello di business: è ovviamente quello della ricerca dei clienti. Se il comparto del B2C può contare su una schiera ampissima di potenziali clienti e si tratta di capire come, dove e quando intercettarli (con tutte le difficoltà del caso), nel B2B, parlando ad altre aziende, i prospect si riducono notevolmente di numero. La buona notizia? Quella che valgono molto di più e che hanno comunque, come tutti, bisogno di comprare il nostro prodotto per le loro lavorazioni. Perché partiamo da quello: è il cliente che ha bisogno del fornitore (il secondo ne ha bisogno in quanto fonte di reddito e fatturato, non per risolvere problemi contingenti legati al lavoro). Fermatevi a riflettere su questo passaggio, perché è DETERMINANTE nella nostra strategia di vendita. La domanda da un milione di dollari dunque è: come fa un'azienda chimica a trovare nuovi contatti realmente qualificati all'acquisto? Rullo di tamburi...la risposta - per noi - è scontata: con l'inbound marketing! ...mai sentito, dici? Allora sarà meglio partire dall'inizio e illustrare brevemente di che si tratta e come funziona! Che cos'è l'inbound marketing? L'inbound marketing è un'insieme di strategie che sfruttano gli strumenti del web più performanti per attrarre sul tuo sito i contatti veramente interessati - e interessanti per te, nel senso ai quali puoi vendere - grazie ad una metodologia meticolosa ma relativamente semplice, che prevede dei passaggi chiari e ben definiti. 1. Definire i propri Buyer Persona. Il Buyer Persona è un concetto studiato dai creatori dell'inbound marketing, che identifica in modo molto approfondito e preciso che tipo di compratore è il migliore per la tua campagna. Si tratta di abbandonare il vecchio concetto impersonale di target, per cominciare a pensare e a categorizzare il cliente in base ai problemi per i quali viene attratto verso il nostro prodotto. Nel B2B è importantissimo definire come e quanto il nostro prodotto può aiutare il potenziale cliente a raggiungere dei risultati lavorativi, migliorare le performance della produzione, abbassare i costi di un determinato processo. Differenti bisogni, differenti problemi, differenti obiettivi (nell'ambito in cui eroghiamo il nostro prodotto/servizio) definiscono differenti buyer persona. Nel settore della chimica, come spesso accade nel B2B, tendono ad essere spesso sovrapposti a particolari ruoli lavorativi e, al massimo, segmentati per la macro-tipologia di cliente. 2. Pensare a delle offerte di valore per i nostri Buyer Persona Una volta che abbiamo capito chi sono i nostri Buyer Persona, si tratta di capire cosa possiamo dare loro che possano considerare di valore. Le offerte sono determinanti perché ci guideranno nella creazioni di ebook, video, webinar, eventi... e qualunque altra cosa ci permetta di chiedere loro alcuni dati personali in cambio dell'accesso a quel contenuto di valore. Quando si parla di contenuto, su web, può essere qualunque cosa. Anche il biglietto gratis per entrare in una fiera del settore, una campione gratuito, una consulenza gratuita per risolvere il problema. Una volta che si entra nel mood delle offerte di valore - e avendo identificato in modo corretto i propri Buyer Persona - diventerà sempre più facile pensare a queste offerte. Un'offerta facile da fare può essere un eBook (penso sempre ad un commerciale di un'azienda chimica che, qualche anno fa, mi inviò un'email con un testo Come risparmiare con il trasporto di materiale chimico, quando compri dall'Italia, pensato per tutti i buyer europei che acquistano dall'Italia, che diventò la base per un ebook comparativo NdR). 3. Creare landing page (con un form) Una volta che abbiamo ideato e sviluppato un'offerta, per permettere al nostro potenziale cliente di accedervi, dovremmo passare alla creazione di una landing page Una landing page è una pagina che ha un solo scopo: far compilare un form per permettere al navigatore di ottenere quello che questa pagina propone / promette. Quindi, una landing page ti fa accedere ad un'offerta di valore per il potenziale cliente. Molte offerte di valore per i differenti Buyer Persona, significa molte landing page. Qui, come spesso accade nel mondo digital, entra in campo la tecnologia. Io utilizzo HubSpot, uno strumento che mi permette di duplicare infinite landing page, cambiando testi e documenti da scaricare, senza dover passare ogni volta dal marketing o dal reparto grafico. E se il visitatore compila un form? Hai un lead e, forse, un potenziale cliente, su cui lavorare. Come? Dipende... se è arrivato per un'offerta commerciale puoi passarlo direttamente ai venditori per un contatto diretto one-to-one. 4. Attirare i potenziali clienti sulle landing Quando la nostra landing page, con la promessa di accedere a qualcosa di valore che il potenziale cliente desidera, è online, si tratta solo di capire come farci arrivare persone interessate. Qui il gioco comincia a farsi duro, perché devi metterti in gioco in mezzo ad altre migliaia di offerte che passano davanti agli occhi del prospect ogni giorno. a) Attrai usando le campagne su LinkedIn Appena si è online con la landing page si può partire a promuoverla pagando: su LinkedIn possiamo impostare campagne che puntano direttamente alle persone che occupano alcuni ruoli per noi importanti in segmenti di mercato ben definiti. LinkedIn è una manna per le aziende della chimica che vogliono vendere ad altre aziende, grazie alla segmentazione molto precisa che LinkedIn ci offre, utilizzando le informazioni che gli stessi utenti forniscono sul loro lavoro. Davvero: se siete dei commerciali di un'azienda del settore chimico e volete far arrivare questa offerta di valore ai potenziali clienti, dopo aver allestito una landing page impostate delle campagne su LinkedIn. Capire subito se quell'offerta è stata pensata correttamente o se dobbiamo metterne in piedi un'altra. b) Metti in piedi un blog per lavorare sulla SEO Un'altra tattica per portare i visitatori all'interno delle tue landing page è quello di catturarli dalle ricerche che effettuano su Google. Ma cosa cercano i tuoi potenziali clienti su Google? La risposta ad un sacco di domande che possono nascere nell'arco della giornata lavorativa. E se tu fornisci le risposte a queste loro problematiche (sempre rimanendo all'interno del macro-ambito della tua offerta di business) ecco che puoi essere trovato dal prospect mentre effettua queste ricerche su Google. Il modo migliore affinché il tuo sito sia uno dei risultati che appaiono sulle pagine di Google è quello di sviluppare contenuti che rispondono alle domande utilizzando un blog. Ma non ci basta che atterri su un post del tuo blog: in quel caso, se ci fermiamo lì, abbiamo fornito un aiuto e un servizio (e questo è sicuramente bello, interessante e aiuta la visibilità dell'azienda). Ma noi vogliamo di più: vogliamo potenziali clienti da contattare e a cui vendere. Pe quello negli articoli del blog inseriamo una Call-To-Action, un invito all'azione, che non è altro che un link per andare verso una landing page (perché, ricorda: è nella landing che avviene la magia della conversione). Ma con il blog andiamo più piano: i risultati pratici di una tattica che passa dalla pagina di Google per farsi trovare, hanno bisogno di tempo. tempo affinché Google riconosca la validità e l'autorevolezza dei tuoi contenuti. Quindi all'inizio il blog sarà un investimento, che porterà in futuro contatti senza dover attivare campagne a pagamento. Ma per partire, partiamo dal traffico generato da LinkedIn, pagando. 5. L'uso di un CRM integrato con il marketing Una volta che il visitatore ha compilato un form sulla landing page è diventato un lead del nostro database e può essere lavorato o dal commerciale o dal marketing, a seconda che sia un contatto caldo, interessato ai nostri prodotti, o se ha scaricato solo qualcosa di informativo che con i prodotti che vendiamo non c'entra. Ma, attenzione... bisogna averlo un database! No ragazzi, non sto parlando del foglio di Excel condiviso su Google Drive dove ognuno mette le note. Sto parlando un un CRM, un software in grado di raccogliere tutti i contatti e di tener traccia delle azioni che facciamo su di essi. Non tutti i CRM sono integrati con le landing page e predisposti ad accogliere un automatico i lead generati dalla compilazione dei form. E quasi nessun CRM è già nativamente agganciato ad un blog, per permetterci di gestire i nostri contenuti e le Call-to-Action che inseriamo all'interno dei post. Di fatto il CRM di cui abbiamo bisogno è un CRM che ci permetta anche di poter inviare email in automatico a chi compila un form per accedere all'azienda e ci permetta di distribuire i compiti automaticamente a seconda di che form è stato compilato (in quale landing page e per quale offerta è arrivato). Sto dicendo che un CRM tradizionale non ci aiuta a trovare nuovi clienti e non ci sostiene nel processo commerciale che vogliamo attivare con l'inbound marketing. Io la risposta ce l'ho, lo sto usando e me ne sono così innamorato che lo propongo anche ai miei clienti. Ma siccome non stiamo parlando di questo, vi inserisco qui sotto una Call-To-Action per scoprire cos'è HubSpot. Se la cliccate andrete su una landing page dalla quale potete scaricare un eBook gratuito che vi spiega cos'è HubSpot. Lavorando sul CRM, e facendosi aiutare da questo strumento per segmentare e qualificare i lead in base ai reali interessi, è la parte che demanda al singolo venditore - commerciale il lavoro iniziato sui form e sui contenuti dal marketing. Questo procedimento può risultare molto utile ad un industria come quella chimica. Come l'inbound marketing può aiutare aziende chimiche Cosa contraddistingue l'industria chimica dalle altre? Storicamente, la chimica è uno degli ambiti più tecnologicamente avanzati, poiché per maneggiare e trattare le sostanze è necessario essere dotati di una strumentazione all'avanguardia: al giorno d'oggi tutte le aziende, da quelle conciarie a quelle meccaniche, possono contare su un grado di modernizzazione stupefacente, ma il settore chimico mantiene saldamente il suo vantaggio. Ma questa complessità si ripercuote anche sul contesto commerciale? La risposta è no. Gli sforzi commerciali delle aziende chimiche sono legati a metodi del passato (fiere, telefonate ed email a freddo...) Gli sforzi di queste imprese sono sempre stati rivolti principalmente alle operations interne all'azienda, come per esempio il processo di produzione: la clientela spesso ha un ciclo vitale molto lungo, con un alto valore, e i nuovi contatti si ottengono attraverso le tradizionali - e costose - fiere di settore e il passaparola. Le fiere poi, oltre ad assorbire una buona dose di risorse (stiamo parlando non solo di denaro, ma anche di tempo ed energie), sono eventi limitati nel tempo e nello spazio, che producono liste di contatti solo in piccola parte commercialmente utilizzabili. La maggior parte dei contatti della fiera, quelli che non richiedono subito un preventivo, finiscono come scheda morta all'interno di CRM o di fogli di Excel sparpagliati per i server aziendali. D'altro canto il passaparola, non strutturato e sistematizzato con sistemi tecnologici e metodologie adeguate (si pensi al concetto del volano della crescita) è lento e frutto del caso. Non può essere considerato una strategia sistematica per la crescita aziendale tale da costruire un asset che porta valore costante nel tempo. Il web, invece, non ha limiti spazio-temporali: con internet, puoi raggiungere i tuoi potenziali clienti ovunque e, soprattutto, nel momento più adatto, ovvero in quello in cui si dedicano alla ricerca di informazioni o sono più sensibili all'offerta di informazioni non pubblicitarie. Con l'inbound si va in senso opposto all'outbound marketing, ovvero alle informazioni che vengono date alle persone quando a queste informazioni non sono interessate. Perché, al di là di fiere e passaparola, l'altro sistema utilizzato da molte aziende chimiche per trovare nuovi clienti sono le email e le telefonate a freddo, che è proprio una casistica tipica dell'outbound. Raccogliere (in qualunque modo, dall'acquisto alle ricerche lunghe e laboriose su web) una serie di contatti (siano indirizzi email o numeri di telefono associati a nomi di persone) in maniera casuale (che tu pensi siano potenziali clienti interessati) per poi contattarli (anche qui, in maniera casuale, perché in quel preciso istante staranno facendo altre cose per loro più importanti in quel momento) porta a tassi di conversione molto bassi e che pregiudicano la reputazione aziendale (praticamente, con email e telefonate a freddo passate per dei rompico@#!$). Diventa un'attività frustrante per il commerciale che deve farla e, anche se porta qualche risultato grazie al buon rendimento e valore di quel cliente occasionale con il quale si riesce a chiudere (grazie all'alto valore medio dei clienti nel settore della chimica), è una pratica che veicola una brutta reputazione per tutti quei contatti che invece trovano fastidiosi ed inopportuni i messaggi (telefonate ed email). La pratica delle email a freddo, inoltre, rischia di far finire le vostre email in spam, visto il basso tasso di apertura e il rischio di segnalazione più alto di fronte a mittenti che non si conoscono e che si presentano con proposte commerciali. Perché l'inbound marketing per le aziende della chimica Con l'inbound marketing, invece, si raggiungono i potenziali clienti nel modo corretto e nel momento più opportuno: il tasso di conversione di una campagna di inbound marketing ben studiata è elevato soprattutto per questo motivo. Si parla spesso di contextual marketing, ad indicare che con l'inbound si vuole proporzionare the right content to the right person at the right time (il giusto contenuto, alla giusta persona, nel giusto momento). Il grande vantaggio per le aziende della chimica sta nel valore del cliente: mediamente questo valore, nell'arco di tempo in cui il cliente fidelizzato compra, permette un investimento per portarselo a casa. L'inbound marketing ha bisogno di un investimento, come ogni azione commerciale. Innanzitutto un investimento per la tecnologia: abbiamo detto che senza tecnologia non riusciamo a segmentare i potenziali clienti in base ai bisogno, non riusciamo ad alimentari con email automatiche, non riusciamo a farci avvisare quando sono pronti per essere chiamati dalle vendite. Ci vuole insomma un CRM smart, come Hubspot, che possa raggruppare strumenti per il marketing e per le vendite, allineando ogni azione che viene fatta allo stesso obiettivo, ovvero aumentare i contatti all'interno del database dei potenziali clienti, segmentarli, qualificarli commercialmente e contattarli nel momento più opportuno. E poi un investimento sul pensiero: ci vuole un project manager, qualcuno dietro alla gestione del progetto inbound che costruisca i framework di monitoraggio, aiuti l'azienda a costruire i buyer persona, analizzare i buyer's journey, individuare i contenuti, costruire gli automatismi... insomma, senza un cervello che sappia mandare avanti e gestire tutto il processo, le aziende non abituate a questi metodi, rischiano di perdersi per strada. La buona notizia? Beh, noi siamo qui per questo e possiamo supportarvi per gestire un progetto completo di inbound marketing. Un investimento importante va sui contenuti e sulle offerte di valore: qualcosa da dare in cambio al visitatore per attirarlo, qualcosa da dare in cambio al navigatore per convertirlo in lead, e un valore utilitaristico nella presentazione del nostro prodotto sono tutte indispensabili. Senza contenuti non si attiva nessun progetto di inbound marketing. La bella notizia è che i contenuti, nel settore della chimica, sono TANTI, hanno a che fare con la produzione, l'uso, l'efficienza, i vantaggi, gli svantaggi. Quella difficile? Che bisogna cambiare il mindset aziendale. Ogni azienda deve diventare un EDITORE per proporre conoscenza, aiuto, supporto... ai potenziali clienti. Ma in fondo, se ci pensate bene, il più bravo dei commerciali nel settore della chimica è quello che entra dal prospect e gli da consigli su come migliorare processi e operazioni... anche quando non strettamente collegati al prodotto che vende! Perché? Perché costruisce FIDUCIA e RELAZIONE: ecco come l'inbound ha a che fare con la fiducia e le relazioni.
Diciamocelo: parlare di economia del dato, valore dell'informazione, o delle potenzialità derivanti dalla misurabilità del digital marketing & sales, è un parlare a vanvera se non si mescolano metodologia e tecnologia. Secondo il poligrafo Francesco Serdonati l'uso dell'espressione parlare a vanvera deriva i suoi termini dalla “piritera”, chiamata anche, appunto, “vanvera”: un oggetto utilizzato dagli aristocratici veneziani e napoletani del Seicento, simile all’antico prallo, utensile adibito all’espulsione dell’aria dall’ano per problemi gastrointestinali. Ok, non è l'unica teoria sull'origine dell'espressione, ma a me piace immaginarla così. Quindi, quando sento e leggo qualcuno che spiega che basta un sito web, un blog, pubblicare le news sui social, guardare Google Analytics, così, in ordine sparso, per far evolvere la strategia di business di un'azienda, mi immagino proprio il rumore smorzato di una scoreggia all'interno di un qualcosa che ne attutisce rumore ed odore. Ma, per dirla con un altro proverbio, Quando la merda monta in cattedra o fa puzza o fa danno. Metodologia non è strategia o tattica Quando parlo di metodo e di tecnologia non sto usando due parole a caso. Non sto usando la parola strategia e neppure tattica. La strategia è generalmente differente per ogni azienda, dipendendo dal mercato, dagli obiettivi, dalla situazione contingente e moltissime altre variabili. La strategia ha a che fare con il grande disegno che mostra, da lontano, gli obiettivi e il percorso da percorrere per arrivarci. La tattica è la pratica, quelle che porta a pianificare, all'interno di ogni singolo canale, quando si parla di digital, come dovrà essere messa a terra l'esecuzione. La metodologia è altro ancora. È lo schema, il framework, il quadro generale delle azioni da svolgere in sequenza, che, indipendentemente dalla strategia è sempre valido. Poi, a seconda del caso e dalla strategia, cambiano le tattiche per svolgere le campagne e le azioni. Ma il metodo che si adotta può essere sempre quello. Ad esempio: la scienza, qualunque scienza, poggia sul metodo scientifico sperimentale inventato da Galileo Galilei: osservazione di un fenomeno, formulazione di un'ipotesi, esperimenti per verificare se l'ipotesi si ripete, formulazione delle conclusioni. I passaggi sono chiari e se vuoi fare lo scienziato non ci scappi. Possono cambiare le discipline, gli obiettivi, le tattiche e le pratiche, ma il metodo da il quadro comportamentale per portare a casa dei risultati. Proprio perché si adotta un metodo è possibile stabilire se una ricerca funziona, non funziona, se si hanno fatto degli errori o meno. Se non si adotta un metodo si va a farfalle, inventando ogni volta pratiche delle quali non si può dimostrare l'efficacia. La metodologia inbound L'inbound marketing è una parola sulla bocca di molti operatori che si occupano di comunicazione, perché, ad oggi, è l'unico metodo che si può applicare a qualunque strategia, tarando le tattiche su campagne, canali e strumenti. L'inbound marketing è un metodo che si basa sulla constatazione - scientifica - che la pubblicità e il commerciale hanno rotto le balle, con le loro continue interruzioni ed invasioni del tempo libero o lavorativo delle persone. E che queste rotture di scatole sono sempre meno accettate da quando, con il web, possiamo andare ad informarci su qualunque prodotto o servizio presente sul mercato quando ne abbiamo bisogno. La gente (noi) adora comprare ma è sempre più insofferente a chi vuole vendergli qualcosa: i venditori hanno perso il loro potere di intermediari nel momento in cui online si trovano informazioni su tutto e su tutti, informazioni e recensioni di qualunque genere. E quando non se ne trovano si possono utilizzare canali per chiedere ad altri e discuterne. L'inbound è una metodologia che poggia su una tecnologia In questo mondo le metodologie classiche di vendita e di comunicazione traballano, vengono scosse dalle fondamenta. I pionieri di questa ricerca ed intuizione sono stati Brian Halligan e Darmesh Shah, i fondatori di HubSpot, un'applicazione software pensata e sviluppata totalmente per supportare in ogni passaggio l'applicazione della metodologia inbound al marketing e al sales. Senza la tecnologia che permette, alle spalle del metodo di raccogliere i dato e si seguire le procedure necessarie, non stai facendo inbound marketing. Un passo indietro. Ecco la metodologia inbound, in una famosa immagine che, credo, tu possa avere già visto decine di volte (e se è la prima volta non scoraggiarti, vedrai che da oggi in poi ti perseguiterà): Attrazione (di uno sconosciuto che arriva sul nostro sito / blog) grazie ai post del blog, come questo, la SEO, la distribuzione dei contenuti sui social, il traffico a pagamento. Conversione del visitatore in un contatto (lead) del proprio database grazie alla Call-to-Action all'interno del sito o dei post del blog, le landing page e i form. Qui la magia della tecnologia è determinante. Grazie ai cookie si può sapere quale azioni compia sul sito / blog il nostro contatto e queste azioni, grazie allo schema con il quale vengono sviluppati e proposti i contenuti sul sito, ci permetteranno di riconoscere gli interessi, i problemi e i desideri del nostro lead, oltre che individuare in quale fase si trovi del suo processo di acquisto (detto buyer's journey). Su questo meccanismo si basa quindi l'alimentazione successiva (grazie alla marketing automation), la qualificazione del lead e il passaggio al commerciale (dalle azioni 1:N del marketing, alle azioni 1:1 del venditore), per arrivare più facilmente alla Chiusura. Ma non basta. Una volta che un lead è stato qualificato come cliente, può iniziare tutta la fase di customer support, al fine di Deliziarlo con sondaggi, recensioni e un'assistenza puntuale che conosce ogni dettaglio della sua vita di interazioni con la nostra azienda. Ok, siamo alla punta dell'iceberg della metodologia inbound. Ma il concetto mi sembra chiaro: è un metodo e ha bisogno della giusta tecnologia, senza la quale tutto questo processo non può essere messo in pista. Oddio. Anche sì, ma senza costruire un valore con il dato, che possa diventare un asset aziendale che porta l'azienda nell'economia dell'informazione. Il passaggio chiave è questo: l'inbound, con HubSpot, ti permette di far entrare la tua azienda nella società dell'informazione dove il dato, oltre ad avere un valore monetizzabile, ti permette di chiudere con i clienti prima e meglio, arrivando a conoscere i loro problemi, desideri e opportunità. Tutto ciò si traduce in una potente arma a disposizione delle vendite e della tua brand identity per condurre i rapporti con i clienti. La digital transformation inizia dall'inbound marketing e da un CRM avanzato come HubSpot.
Mi ricordo il primo sito che ho proposto, realizzato con Wordpress. Deve essere stato il 2005 o giù di lì. Continuo a proporne anche oggi e, devo dire, la considero un’ottima piattaforma per fare contenuti, che risponde alla maggior parte delle aziende che su web ci vuole essere muoversi po’. Sopratutto perché partiamo da una cultura digitale orientata al business ancora scarsamente diffusa. Anche presso molti che vendono servizi di consulenza di web marketing c’è spesso poca cultura del business su web. Quindi, devo dire la verità: adoro Wordpress. Lo uso sul mio sito privato per la mia attività di consulente SEO, Ecommerce e social media marketing. Ma sapete una cosa? Quando ho incontrato la disponibilità di ICT(DigitalThink) di investire in HubSpot, non ho avuto dubbi a mollare Wordpress per portare il sito aziendale e il suo blog all’interno di HubSpot. PREMESSA: Vi avviso. Questo articolo è destinato ai proprietari d’azienda, agli amministratori delegati, ai responsabili commerciali e ai responsabili marketing. Non agli smanettoni che si sanno arrangiare o a chi non interessa trovare clienti da web. Introduzione CMS è un acronimo e sta per Content Management System. I CMS hanno avuto un effetto rivoluzionario sul web marketing, perché hanno permesso ai “non sviluppatori” di pubblicare contenuti in internet. Ci sono molte piattaforme CMS oggi, e tra le più popolari sicuramente bisogna annoverare Wordpress, Joomla e Drupal. Il più utilizzato è Wordpress, un prodotto maturo e con numerosi plugin, che soddisfano praticamente ogni necessità. Sia a pagamento che gratuiti. HubSpot, quando ha pubblicato il suo CMS, ha coniato un nome, Content Optimization System (COS). Si differenzia da un CMS tradizionale in due modi, principalmente: il primo è questa olistica integrazione di tutti gli strumenti contenuti all’interno, dalle pagine del sito alle landing, dal blog alla Call-To-Action, dai social ai form, dalle liste ai Workflow. La seconda è che permette di creare esperienze personalizzate di navigazione per i clienti in maniera integrata, praticamente prendendo qualsiasi elemento strutturale. Il mio orientamento per le aziende Se un cliente - nel senso un'azienda che mi chiama per una consulenza e vuole investire nel canale digital per fare inbound marketing - mi chiedesse quale delle due piattaforme utilizzare per il blogging - ed eventualmente anche per il sito aziendale - non avrei dubbi: HubSpot. In questo modo sarebbero completamente indipendenti. Magari all’inizio la pedonalizzazione dei CSS per ottimizzare al meglio la linea grafica del loro sito potrebbe essere un servizio da inserire nel nostro pacchetto. Ma poi si parla di contenuti, di SEO, di distribuzione e engagement sui social, CRM… insomma, poi si parla di operatività e il sito web diventa una piattaforma di cui non dobbiamo parlare. Se un cliente non è assolutamente interessato ad investire nel lavoro di web marketing e il sito web per lui è un accessorio poco importante - giuro, c’è ancora chi lo pensa - non diventa in mio cliente. Nel senso: non a lungo termine. In quel caso Wordpress può essere un’ottima soluzione per il suo sito e per il suo blog personale. La domanda non è tanto su quale dei due sia meglio, ma bisogna capire a cosa servono. Quindi, che si tratti di un sito di una piccola e media azienda, o di una grande impresa, il problema non è mai, all’inizio, Wordpress o HubSpot. Diciamo che entrambe le soluzioni possono andare bene per gestire la presenza su web. La differenza sta nella strategia di marketing. Quando un’azienda investe in HubSpot, si sta impegnando a fare marketing in maniera differente, in un modo completamente diverso. Tutto il software di HubSpot è costruito attorno alla metodologia dell’inbound marketing, è qualcosa di così intrinseco e connaturato nella piattaforma che, se cominci ad utilizzare HubSpot, lo fai per fare inbound marketing. Wordpress è invece un CMS completamente personalizzabile. Completamente significa completamente. Tutto si personalizza, perché, oltre ai post e alle pagine, alle categorie e agli hashtag, all’incorporazione di oggetti multimediali…tutto il resto deve essere personalizzato. Anche a livello di funzioni, con tutti i plugin che possono servire allo scopo. O andando, manualmente, di programmazione js + php. So già la domanda in arrivo: “Ma allora, stando così le cose, non posso fare inbound marketing con Wordpress”. Beh, per la verità sì. Combinandolo con un altro strumento di marketing automatico e con una piattaforma di email, oltre a qualche plugin, le funzionalità ci sono. Ma i numerosi strumenti necessari per fare questo, rendono estremamente difficile mantenerlo sul lungo termine, non fosse altro per l’impossibilità di una reportistica automatica ed armonica e tutta la marketing automation per gestire il flusso armonico dei contenuti e delle azioni richieste dall’inbound marketing (Per esempio: come sapere se lo stesso utente che ha aperto l’email su Mailchimp poi ha cliccato su una call to action, ha visitato queste pagine, se ha ritwittato un nostro post e se è tornato sul sito per compilare un form?). Il valore di HubSpot sta nell’ecosistema pronto all’uso, fatto apposta per monitorare il Buyer’s Journey, combinato con il CRM per seguire le vendite dei contatti che arrivano da web. Lo scopo è dichiarato: trasformare il visitatore in un cliente. Alla fine la domanda vera che ci si deve porre è: “Sto scegliendo il sistema giusto per l’idea di web marketing che voglio applicare alla mia azienda?” Alla fine la questione “Meglio HubSpot o Wordpress” diventa un gioco come “Meglio Apple o Google”. Il sistema che utilizza dipende solo da quello che cerchi e da quello che per te è importante. Se uso uno smartphone Android, Il browser di Chrome, Google Play e la Chromecast potrebbero essere altri prodotti Google che utilizzo. Ma se ho un iPhone è facile che utilizzi iTunes, i Cloud. iMessage e FaceTime. Se uso Chrome su un MacBook non sarò integrato come se utilizzassi Safari, ma faccio una scelta in base ai mie obiettivi e al mio contesto. Così, allo stesso modo, posso utilizzare Wordpress e HubSpot assieme, nulla lo vieta. Con le limitazioni del caso. Qui la questione non è affatto open source contro proprietario. Non è plugin contro moduli personalizzati integrati. Non è piattaforma in cloud contro server con piattaforma che devo installarmi. La questione non è mai HubSpot contro Wordpress. Non avete HubSpot? Non vi resta che usare Wordpress. Ma se l’azienda con la quale lavorate è disposta ad investire in HubSpot, beh, allora avrete una piattaforma che invoca i vostri contenuti, perché se non attira clienti, langue. Ma per le varie funzionalità, dal punto di vista del marketer e dell’azienda - non dal punto di vista dell’agenzia/webdesigner o della comunità cdi sviluppatori - quali sono le differenze tra le due scelte? Le differenze tra HubSpot e Wordpress LA PROPRIETÀ DEI CONTENUTI Con HubSpot i contenta che carichi sulla piattaforma sono tuoi. Esattamente come su Wordpress. E se un giorno scegli di abbandonare HubSpot devi pensare di migrarli su un altro sito. Esattamente come su Wordpress. La differenza è che Wordpress va scaricato, installato e configurato su un server web e sei il proprietario di questo ecosistema. Con HubSpot sei in affitto su un ecosistema altrui. Se hai bisogno di fare un backup del sito, con entrambi i sistemi è abbastanza semplice. In realtà Wordpress ti da solo l’illusione di avere i contenuti in tuo possesso, in modo più facile e lineare di HubSpot: perché, a meno che non sia installato sul tuo server personale - cosa di solito sgradita ai responsabili IT e non certamente performante come molte soluzioni in commercio - Wordpress e il suo database con i tuoi contenuti, si trovano in una fam di Register, di Amazon o di chissà chi, quindi, a tutti gli effetti, in cloud tanto quanto i tuoi contenuti su HubSpot. IL BLOG Hubspot Il blog di HubSpot è stato costruito da zero, e continua ad evolvere, attorno alle modifiche e i cambiamenti che Google continua ad introdurre per determinare i risultati nelle sue pagine delle ricerche, incluso la social search e il design responsive. Il blog è strettamente integrato con tutti gli strumenti di HubSpot, compreso le Call-To-Action, le liste dei contatti e i Workflow. Il blog è collegato anche al feed RSS e al tool per creare email con sottoscrizione agli aggiornamenti. Wordpress Wordpress ha una piattaforma di blog di serie dove in poco tempo è possibile cominciare a scrivere e a pubblicare post. Non c’è alcuna integrazione nativa con altri strumenti. Tutte le funzionalità aggiuntive hanno bisogno di plugin, che però sono separati gli uni dagli altri e hanno logiche di funzionamento differenti. LANDING PAGE Hubspot Con lo strumento delle Landing Page HubSpot permette agli utenti di aggiungere facilmente nuove pagine che costruiscono automaticamente liste e flussi di lavoro. Le Landing page possono anche essere personalizzate in base allo stadio del Buyer’s Journey o alle liste di appartenenza degli utenti. Inoltre sono monitorate con un comodo tool che permette di vedere gli accessi e le conversioni generati da ognuna, collegando i dati alle analisi generali. Wordpress Wordpress ha due categorie di post, le pagine del sito e gli articoli del blog. Con dei plugin può avere i case history come tipologia aggiuntiva. Per creare una pagina di destinazione è necessario utilizzare un plugin e configurarlo. Ovviamente non è integrato in alcun flusso di marketing. Quindi la newsletter avrà il suo plugin con i suoi utenti, i banner con le call to action avranno il loro plugin e le loro statistiche e via dicendo… PAGINE DEL SITO WEB Hubspot Le pagine del sito di HubSpot sono integrate con il flusso di pubblicazione dei social media, il generatore di Call-To-Action e gli strumenti SEO. Chi si occupa di marketing può creare siti web senza utilizzare una sola riga di codice, utilizzando l’editor dei modelli drag and drop. Wordpress Wordpress permette di creare bozze, schedare la pubblicazione e poi ci sono un sacco di plugin che si possono installare per fare singole cose e abbellimenti. Senza dimenticare che i plugin appesantiscono il sito e questo per la velocità, la SEO e l’esperienza utente è male. IL DESIGN DI PAGINE, BLOG e CALL-TO-ACTION Hubspot HubSpot offre una serie di raccolte di landing page, pagine del sito e modelli posta elettronica compatibili al 100% con la piattaforma. Inoltre ci sono molti modelli disponibili per l’acquisto, realizzati dalla agenzie partner. Si scaricano d installano direttamente all’interno della piattaforma, dal marketplace integrato. HubSpot ha un editor WYSIWYG facilissimo da utilizzare che ti permette di lavorare sull’anteprima della pagina e la possibilità di visualizzare le anteprime su dispositivi mobile e tablet. Anche le Call-To-Action si creano in modo estremamente facile e senza utilizzare codici. Il tutto viene monitorato e analizzato in modo integrale. Inoltre senza costi aggiuntivi è possibile integrare SSL. Wordpress Wordpress offre una miriade di temi, alcuni a pagamento altri gratuiti. Ma non c’è un controllo rigoroso e standard a monte che ti garantisce la fruibilità, l’efficienza e la sicurezza del template. Anche Wordpress utilizza un editor WYSIWYG e con un plugin è possibile integrare CtA e design drag and drop. Il che significa, altri plugin. SEO Hubspot HubSpot ha le sue radici nella SEO. Il sistema di gestione sono stati costruiti per assecondare le richieste di Google e si mantiene aggiornato con le ultime tendenze dell’ottimizzazione per i motori di ricerca. Non serve un consulente che ti dice cosa cambiare nel sito quando l’algoritmo di Google evolve. Ci pensa HubSpot. Wordpress Wordpress non nasce con funzionalità SEO integrate. Infatti bisogna installare, anche qui, un plugin, per avere consigli su come ottimizzare i contenuti. Spesso, con le modifiche all’algoritmo di Google, bisogna mettere amano anche al template grafico. Perché non c’è qualcuno che lo fa per voi. ANALISI Hubspot HubSpot è nato per registrare eventi ed incrociare dati, con l’obiettivo di accompagnare il visitatore a diventare clienti (nello spirito dell’inbound marketing), votato completamente alla conversione. Gli obiettivi dell’analisi di HubSpot è quello di contestualizzare e segmentare i contatti, arricchendo i profili con tutte le informazioni possibili. Wordpress Wordpress è in grado di mostrare il numero di visite e visitatori che si stanno ottenendo ogni giorno/settimana/mese. Mostra le visite per paese, i migliori post e le pagine e da dove arrivano i click, oltre agli argomenti più popolari. Per tutto il resto, ancora una volta, dovete rivolgervi ai plugin. CONTACT LIST, EMAIL, WORKFLOW Hubspot Il tool per le email di HubSpot sfrutta l’integrazione con le liste di contatti e con i Workflow per renderlo più potente. Utilizzando le liste è possibile creare delle Smart List che si popola nel tempo a seconda delle azioni compiute dai contatti sul sito. Ad esempio, è possibile creare un elenco di persone che hanno cliccato su una email, che hanno visitato la pagina dei prezzi o che ti hanno menzionato sui social media. I Workflow permettono di creare azioni per i contatti che interagiscono con email, pagine, form, per fargli arrivare i messaggi nel momento ideale del loro Buyer’s Journey. Wordpress Wordpress non offre elenchi, contatti, email o flussi di lavoro. Ci sono sempre i plugin, ma non ne esiste uno che integra tutto, e ogni funzione lavora in modo separato, senza permettere una dashboard comune per la gestione o l’analisi. SOCIAL MEDIA Hubspot Utilizzando la SocialInbox di HubSpot i clienti possono creare stream segmentati di tweet basati su clienti, punteggio dei lead, eventi e molto altro. Puoi selezionare quale keyword seguire, visualizzare il volume di uno stream e inviare alert al vostro tema, basati sulle azioni da intraprendere. Si possono anche identificare le azioni dei contatti che si sono registrati sul sito e analizzare, comparandoli, i vari canali social. Wordpress Wordpress non dispone di una funzione per i social media integrati. Bisogna rivolgersi ai plugin di terze parti, che possono essere utilizzati per replicare alcune funzioni interessanti per chi si occupa di marketing. SERVIZIO DI ASSISTENZA Hubspot HubSpot dispone di un team di supporto a completa disposizione per rispondere a tute le domande. Ci sono anche molti canali dai quali attingere alle informazioni: Forum, gli user group di HubSpot e risorse localizzate sulle differenti nazioni, gruppi di LinkedIn e un network di partner certificati. Wordpress Per Wordpress c’è una grande comunità di utenti legati all’opensource. E una pletora di consulenti e professionisti che vendono servizi per Wordpress. Ma non c’è alcuna certificazione sull’autorevolezza e capacità di chi vi trovate di fronte. TRAINING & FORMAZIONE Hubspot HubSpot ha lInbound Marketing Consultant, l’Account Manager e l’Accademia dei professori, dedicati alla formazione e istruzione. Il blog di HubSpot e la Marketing Library forniscono le risorse per un’educazione continua. Wordpress Wordpress ha Forum e Documentazione disponibili per aiutare la formazione. Libero accesso a libere risorse sul loro prodotto. REQUISITI DI CONOSCENZA TECNICA Hubspot HubSpot è stato costruito in modo che gli utenti non abbiano bisogno di conoscenze tecniche per usarlo. La piattaforma riconosce che i suoi clienti sono persone che si occupano di marketing, di vendita e i titolari di aziende. Per loro non ci deve essere la distrazione di concentrarsi su codici, grafiche e problemi tecnici da risolvere, il loro focus deve essere concentrato sull’acquisizione di lead e clienti. Wordpress Wordpress è stato costruito come una piattaforma di blogging da una comunità opensource. Crescendo e con le possibilità di personalizzarlo è diventato qualcosa in più che un semplice strumento di blogging, ma la piattaforma ruota ancora attorno all facilità di blogging e richiede una notevole quantità di conoscenze tecniche da mettere in campo per diventare autonomi e fornire tutte le caratteristiche di marketing necessarie per la gestione di un’azienda e puntare alla conversione del cliente. SICUREZZA Hubspot HubSpot cripta le sessioni web dei clienti, sfruttando un certificato SSL con una chiave AES a 256 bit. Impiega tutte le misure di sicurezza per impedire l’accesso di chi prova ad entrare senza autorizzazione Firewall e servizi VPn dedicati Intrusion Detestino Systems di grosse dimensioni per la rete di contenuti pubblici Web Application Firewall per proteggere i siti dei clienti ospitati su HubSpot Servizi di mitigazione DDoS per proteggere i siti dei clienti ospitati su HubSpot Scansione protettiva della rete attraverso servizi terzi, incluso McAfee ScanAlert e TrustWave La registrazione dei log di tutti gli accessi di applicazioni e server web. Wordpress Aggiornare all’ultima versione Wordpress può riparare le vulnerabilità conosciute. Per migliorare la sicurezza bisogna disabilitare l’editor del tema. Bisogna scaricare plugin di sicurezza per proteggere il sito da eventuali minacce. Dovete cercare il supporto di chi vi fornisce l’hosting per essere più sicuri. Meglio far backup continui del sito per non perdere contenuti se il sito viene hackerata. Meglio togliere “powered by Wordpress” per evitare hacker che cercano questa frase su web. Parla con un consulente per la sicurezza, prima di sentirti tranquillo. Ci sono anche società di hosting che blindano la piattaforma e la rendono decisamente più sicura. AGGIORNAMENTI Hubspot Il team di ingegneri di HubSpot effettua aggiornamenti giornalieri, sperimentando nuove soluzioni per migliorare la produttività degli utenti. Gli utenti non devono aggiornare nulla, se ne occupa direttamente HubSpot. Wordpress Wordpress ha un grande team opensource. Tuttavia, propria per la sua natura, ha bisogno di aggiornamenti frequenti che devono essere effettuati dagli utenti. Anche i plugin di terze parti vengono aggiornati, ognuno con le proprie logiche e frequenza, non avendo una correlazione diretta con il team di sviluppatori di Wordpress. Qui possono nascere dei problemi di compatibilità di versione e un semplice “aggiorna” - che bisogna fare - può provocare problemi non facili da risolvere per un utente che deve occuparsi di trovare nuovi clienti. Bisogna affidarsi a qualcuno di esperto per avere una copertura tecnica costante. COSTO Hubspot HubSpot fornisce una piattaforma All-in-One destinata a che fa marketing digitale. C’è una vasta reportistica, facile da capire, che può aiutare i marker a fare il loro lavoro. C’è un supporto costante, un consulente per l’inbound e un account che segue ogni utente. E la formazione con l’Accademia di HubSpot. Il risultato è che, il 72% dei clienti dice di aver avuto un aumento di fatturato già nel primo anno. Un aumento di 4,1 volte dei visitatori per mese e 3 volte i lead che veniva raccolti prima (i risultati di una ricerca di uno studente del MIT http://www.hubspot.com/roi). Per HubSpot paghi un feee annuale per che comprende l’hosting, il certificato SSL, i servizi offerti dalla piattaforma (newsletter, SEO, Workflow, Form, Call-To-Action, analisi e tutto il resto). Wordpress Opensource non significa gratis. Ci sono le ore lavoro per configurare Wordpress, per trovare i plugin necessari alla tua attività (ovvero far diventare una piattaforma di blogging un sito per trovare clienti al supporto del marketing). Quindi devi pagare il web server, editare i CSS per personalizzare il sito, seguire gli aggiornamenti, i backup e comunque ti trovi con una reportistica che poco agevola o spinge il tuo lavoro: devi costruirti dei framework di analisi esterni con altre ore e altre risorse, ammesso che tu poi lo faccia. E alla fine sei senza Workflow e un’integrazione tra tutti gli strumenti per il digital marketing. Con Wordpress, dopo aver pagato l’installazione, la configurazione e lo sviluppo di una grafica per la tua azienda, paghi il mantenimento dell’hosting, un possibile certificato SSL, i tutti i servizi pro - perché sono quelli con le funzioni necessarie a chi vuole fare marketing in modo analitico o che punta a gestire tutto con la logica dell’inbound - che vuoi integrare nel tuo marketing (ad esempio MailChimp, OptinMonster e molti altri). Ovviamente sempre senza integrazione alcuna tra di essi e i dati che restituiscono. Wordpress è una grande piattaforma… Wordpress è una grande piattaforma e per anni è stata la scelta di default che ho prodotto ai nostri clienti, per una serie di motivi è un CMS maturo e completo; è più semplice sviluppare con Wordpress rispetto ad altri sistemi; c’è una vasta comunità a supporto e non vincolo l’azienda ad andare d’accordo sempre con noi. Per me attualmente Wordpress è la scelta su cui puntare: Se sei un Ecommerce di piccole dimensioni, lavori solo con il tuo Ecommerce con i clienti finali e vuoi inserire un blog a fianco per aiutare la SEO e la distribuzione dei tuoi contenuti. Se vuoi costruire un blog personale o una sorta di wiki interna all’azienda HubSpot può essere sovradimensionato. Se hai bisogno di un blog che si limita ai contenuti tecnici per i clienti e che non è integrato in una strategia di marketing esterna. Ma il Content Optimization System di HubSpot è meglio! Quando si tratta di costruire un sito web per generare lead, è chiaro che HubSpot è la scelta migliore. Ora, una domanda: sei sicuro che per la tua azienda costruire lead non sia una necessità primaria? E seguirli fino a diventare clienti? Se la risposta è “voglio trovare clienti con il sito web”, non dovresti avere dubbi. Il COS di Hubspot è olistico Il fine non è quello di permettere alle persone di gestirsi il loro sito web, come fanno i CMS, ma quello di gestire, ottimizzare ed integrare tutte le componenti del web marketing digitale. Ecco perché, per un’azienda che vuole fare web marketing, HubSpot è una scelta migliore: Sistema all-in-one tutto integrato Interfaccia intuita e pensata per chi fa marketing Hosting integrato ottimizzato e basato su un CDN Nessun aggiornamento necessario Nessun plugin necessario Gestione di più domini da un singolo login Crittografia SSL nativa Backup automatico e silenzioso di ogni elemento Gestione email completamente integrata CRM integrato per la gestione delle aziende e dei contatti Supporto incredibile E la cosa più importante: consente di legare l’intero Buyer’s Journey di ogni singolo visitatore permettendo di conoscere da dove arriva, dove va, cosa fa, cosa scarica, cosa legge…e, lo capite, questo è uno strumento molto potente di marketing orientato ai risultati. Il COS di HubSpot punta ad un’esperienza utente personalizzata Si parla spesso di personalizzazione dei contenuti. Il Cos di HubSpot è uno strumento prezioso per segmentare i contenuti in base a tutti i dati di marketing che vengono raccolti. Si può fare in base alle azioni che gli utenti hanno precedentemente compiuto sul sito. Questo permette di dare una differenziazione di contenuti, a seconda dei vari interessi. Con HubSpot si fa in 3 modi: Smart Call-To-Action: HubSpot permette di cambiare le CtA a seconda delle azioni precedentemente compiute sul sito dai visitatori. Ad esempio, se un visitatore ha già scaricato un eBook, è possibile cambiare per lui la CtA che inviata a scaricarlo e mostrargliene un’altra, a seconda dei suoi possibili interessi. Smart content: in realtà, oltre alle Call To Action, si possono modificare anche gli altri contenuti, utilizzando tutti i dati che abbiamo raccolto sui visitatori per mostrare loro contenuti differenti, in armonia con i loro interessi o con il loro posizionamento nel Buyer’s Jorney. Smart form: Altra caratteristica smart del COS di HubSpot, si possono raccogliere ulteriori informazioni per un utente di cui già si dispongono le informazioni base, perché ha già interagito con noi. Adoro HubSpot...ma non è per tutti! Utilizzare HubSpot significa abbracciare in toto la filosofia digital dell'inbound marketing. Significa che qualcuno della tua azienda dovrà spendere un sacco del suo tempo per produrre contenuti, con lo scopo di educare i possibili clienti e ad allestire tattiche e strategie di blogging, SEO e social media. E poi bisogna preparare contenuti più importanti - come eBook, demo, webinar... - per convincere le persone a lasciarci la loro email, a compilare quindi un form, che è l'azione basilare necessaria per inserire i visitatori all'interno del sistema. Quindi HubSpot è un ottimo servizio per le persone giuste. Offre un servizio perfetto per un particolare tipo di utenti: aziende e professionisti che hanno capito il valore dell'inbound marketing e sono disposti ad investire sul canale digital, come farebbero per iniziare una nuova strategia di espansione commerciale. Perché, a tutti gli effetti, stiamo parlando di quello. E non confondiamo l'investimento nella piattaforma con tutto il lavoro interno da fare. Importante? Sì. Indispensabile? Mmmm per molti, ma non per tutti. HubSpot è una buona soluzione se: Non hai mai fatto marketing su web e puoi iniziare a farlo in modo costante, puntando a risultati importanti. Punti ad un'unica soluzione per semplificare la vita del tuo marketing e delle vendite, grazie alla possibilità di integrare anche il CRM. Non vuoi una grafica personalizzata - o sei disposto comunque pagarla a parte ad un'agenzia partner di HubSpot. La tua azienda può dedicare una risorsa, per lo meno a mezza giornata, alla produzione di contenuti. Hai un buon budget da destinare a questo nuovo canale commerciale, aumentando i costi che avevi già pianificato per il solo canale marketing (nella filosofia dell'inbound marketing, le vendite e la comunicazione si fondono in un unico processo). Vuoi aumentare il fatturato della tua azienda con un'azione di medio lungo termine, grazie al canale internet. HubSpot non è consigliato se: Sei uno smanettone e vuoi arrangiarti a fare tutto (ma quindi non ci concentri sulle vendite). Non vuoi pagare per l'utilizzo annuale della piattaforma. Vuoi avere il controllo su ogni elemento del codice del sito della tua azienda (perché poi?) Non hai tempo da destinare allo sviluppo di un nuovo canale commerciale. Non ti interessa essere preso per mano e hai budget a disposizione molto importanti, per costruirti qualcosa di custom che faccia le stesse cose (chi sei, Amazon?) Conclusione Il punto saliente è questo: Wordpress è grande per i blog personali, l’integrazione con WooCommerce per E-commerce semplici e funzionalità di gestione di contenuti più complessa, con un database ricco di funzionalità, orientato a questo. Ma se fate B2B - e in molti casi B2B - beh, non c’è paragone: avete bisogno di una piattaforma che aiuti a trovare lead, clienti ed aumentare il rendimento del canale digitale. Per fare questo, per noi, l’opzione è solo una: HubSpot. PS Se già avete un sito con Wordpress e non volete gettare alle ortiche iil lavoro fatto, c’è anche la possibilità di integrarlo con HubSpot, amplificando le possibilità della piattaforma che avete scelto per dedicarvi ad un’operazione decisa di web marketing, all’insegna dell’inbound marketing. FONTI: https://www.newbreedmarketing.com/blog/hubspot-cos-vs-cms http://www.kunocreative.com/blog/hubspot-vs-wordpress http://www.hubspot.com/products/faq/hubspot-vs-wordpress-cms https://www.web-savvy-marketing.com/2014/09/hubspot-to-wordpress-migration/
Le università e gli enti di formazione superiore possono trarre un grande vantaggio, in termini di risultati di business, applicando la metodologia dell'inbound marketing e dotandosi degli strumenti per gestire il progetto. Chi si occupa di formazione ad un livello medio-alto, ha un grande tesoro dal quale si può attingere: la capacità di erogare conoscenza è già nel DNA delle organizzazioni, il sapere, i contenuti che costituiscono la base per avviare un progetto inbound sono già all'interno della scuola. Un passo indietro: come funziona il modello di business che utilizza la metodologia inbound marketing per puntare all'aumento del fatturato? La metodologia inbound marketing Si utilizza un sito (un blog) per pubblicare materiale che risulti interessante per il nostro potenziale cliente, che faccia cultura, che sia utile, che sia dilettevole... a seconda dell'obiettivo, politica del brand e finalità dell'organizzazione. Si lavora sulla distribuzione di quel materiale (post del blog) per raggiungere il potenziale fruitore del nostro servizio attraverso i social, il posizionamento organico sui motori di ricerca, le sponsorizzate (ADS, AdWords...) e catturare la sua attenzione. Gli si fornisce, quindi, qualcosa di gratis, per portarlo sul nostro sito (blog) per poi proporgli qualcos'altro, questa volta di valore un po' superiore: per accedere a questa offerta gli si chiedono le informazioni di base (nome, cognome, email, ruolo...). Questa azione/flusso ci permette di portare all'interno del nostro database (CRM) le informazioni sul potenziale cliente e di andare, quindi, grazie all'impiego di tecnologie che monitorano il comportamento sul nostro sito (cookie), a segmentarlo in liste differenti basate sia sull'anagrafica, che sul contenuto scaricato/visto, ma anche in base ai contenuti gratuiti visti (gli articoli del blog). In questo modo, il contenuto gratuito, oltre che per attrarre il contatto, serve anche a segmentare in base agli interessi. Perché abbiamo iniziato il giro del fumo spiegando che il blog si usa per pubblicare materiale interessante per il nostro potenziale cliente, giusto? E sarà proprio il contenuto che viene visto a farci capire che problemi/interessi/opportunità lo attraggono. E questa... diventa un'informazione commerciale da utilizzare per fare proposte o offerte di altri contenuti gratuiti o con un peso commerciale La metodologia inbound marketing per le università e gli istituti di formazione Spero che sia abbastanza chiaro, anche dopo questa breve presentazione della metodologia inbound, dove sia il vantaggio, nell'applicarla, per un'università o un ente di formazione. La produzione di materiale, motore dell'inbound Produrre materiale interessante per i propri potenziali acquirenti, generalmente, è uno dei grossi ostacoli per le organizzazioni economiche - presenti sul mercato - che non sono ben strutturate per diventare enti che irradiano cultura: per una scuola, proprio per il personale docente che ci lavora, proprio per la mission connaturata nella sua ragione d'essere, può facilmente trasformarsi in editore, per seguire una strategia di marketing che permette di: migliorare la brand awareness: diffondere la conoscenza diventa un veicolo per attirare maggiori attenzioni sul proprio brand da parte di tutti quelli interessati agli argomenti che vengono trattati; aumentare la brand authority: l'autorevolezza viene dalla capacità di fare formazione presso i soggetti che sono interessati agli argomenti proposti; avere una voce: avendo dei contenuti di peso, la presenza sui social media avviene in modo più mirato, andando a condividere cose potenzialmente utili per il proprio pubblico di riferimento; costruire un database di potenziali clienti: i contenuti attirano, i contenuti convertono; segmentare i propri contatti in base agli interessi: a seconda dei comportamenti... grazie alla tecnologia (cookie), si possono clusterizzare i contatti; alimentare i contatti in base agli interessi: sempre grazie alla tecnologia (marketing automation) si possono inviare email, sms, distribuire task all'interno dell'organizzazione in base agli interessi o ai comportamenti dei contatti. Parliamoci chiaro: se un'ente di formazione strutturato come un'università o una scuola che forma figure professionali di rilevo non riesce a produrre contenuti per sostenere la sua crescita, forse è meglio si faccia qualche domanda. La fiducia Perché l'inbound marketing spacca quando è il motore di business di un'università o un ente di formazione? Per il discorso della fiducia che le persone ripongono in una scuola. Voglio dire: una conversione buona, per un blog nel settore industriale, è l'1% dei visitatori. Funziona così: si pensa ad un'offerta per la quale si richiedono i dati delle persone e si produce una Call-to-Action da inserire negli articoli del blog, che vengono scritti già pensando al potenziale interesse - di qualcuno che lo sta leggendo - all'offerta di conversione. Il primo obiettivo è che il 5% dei lettori del post del blog siano interessati e clicchino sulla Call-to-Action per andare all'offerta. La Call-to-Action porta ad una pagina con il form (landing page) e l'obiettivo di conversione (ovvero di visitatori di quella pagina che compilano il form) è del 20%. Ho visto Enti Fiera e Università che superano, in alcuni casi, il 90% di conversione sui visitatori della landing e che arrivano al 3-4% di conversione dei navigatori sul blog strutturato per contenere, nei post, le CtA con un allineamento tra contenuto del post e offerta presentata (cosa molto chiara a chi studia i fondamentali dell'inbound marketing). Il target (o meglio: i buyer persona) Studenti, ovvero chi è desideroso di apprendere. Genitori, ovvero chi vuole essere sicuro che i figli apprendano bene, si trovino a loro agio e, soprattutto, che - una volta finita l'università - si apra loro un mondo di opportunità. Nel caso degli enti di formazione privati, da quelli che formano i manager a quelli che preparano le figure professionali dedite più a lavori manuali, c'è anche l'interesse diretto degli iscritti a portarsi a casa un bagaglio di conoscenze utili nel lavoro. Potremmo aggiungere i titolari di aziende, nel caso di scuole di formazione e, sicuramente, altri target a seconda del caso specifico di ogni scuola o ente. Cosa hanno in comune tutte queste figure? Che cercano informazioni online prima di iscriversi a chissà cosa. Risolvono i loro dubbi, comprano piani formatici, cercano sicurezze. Vuoi farti trovare prima degli altri ed essere tu a spiegare i vantaggi di scelte differenti, come si fa a trovare un lavoro usciti dal tal corso di laurea e dove si mangia bene - a portata di studente - in città? Inizia con l'inbound marketing! Il mercato Ci sono enti e scuole blasonati, che hanno impiegato decenni - o centinaia d'anni - a costruire una credibilità accademica. Grazie ai docenti che hanno avuto, la loro storia e le specializzazioni acquisite. Vuoi sovvertire lo status quo? Dimostra che ne sai di più. Fornisci materiale gratuito d'eccellenza, fai divulgazione delle tesi e dei lavori dei docenti, fai venir fuori tutto quello che sai e mettilo a disposizione del mondo. Le persone più ricche, oggi, sono quelle che condividono la loro conoscenza, non certamente quelle che la nascondono. Non sarà questione di qualche mese e, probabilmente, ci vorrà qualche anno per lavorare così forte sul posizionamento. Ma intanto ti stai portando a casa lead su cui lavorare per portarli ad iscriversi. E generi fatturato che ti permette di investire sempre di più sulla tua autorità. Conclusione Davvero: non vedo alcun motivo perché un ente di formazione o un'università non debba fare inbound marketing. Ci aggiungerei una chicca: HubSpot ha un programma partner per le Università che iniziano con l'inbound marketing ed acquisiscono la licenza, che permette loro di accedere a tutti i materiali dell'accademia e al know-how dell'azienda per avviare corsi di inbound all'interno delle loro strutture, fornendo la piattaforma gratuitamente agli studenti in versione educational per la durata del corso di studio. Se volete approfondire questo aspetto potete fissarvi un appuntamento direttamente sul mio calendario.
I dati suggeriscono che la lunghezza ideale di un'e-mail è compresa tra le 50 e le 125 parole. E-mail di questa lunghezza hanno tassi di risposta superiore al 50%. Uno studio ha rilevato che le e-mail con circa 20 righe di testo o circa 200 parole avevano le percentuali di clic più elevate. Nel caso tu abbia dei dubbi, mantieni le email brevi e sotto le 200 parole. Secondo TOPO, i potenziali clienti aprono meno del 24% delle e-mail commerciali. Ciò significa che tre destinatari su quattro, a cui hai inviato un'e-mail, impegnato tanto a scriverle, e che hai inviato ai potenziali acquirenti - selezionandoli accuratamente - probabilmente potevi fare a meno di scriverle. I venditori oggi si affidano sempre più alla posta elettronica nei loro sforzi prospecting (e ci credo: chi va ancora a suonare i campanelli a freddo?). E questo rende di fondamentale importanza l'argomento come scrivere un'e-mail commerciale alla quale le persone vogliano rispondere e che sia percepita come qualcosa di più importante che mai. Ma a che serve spedire le email se i destinatari non le stanno leggendo? Tenendo questo a mente, i venditori farebbero bene ad esaminare molto attentamente i fattori che influenzano i tassi di apertura e risposta dei messaggi che scrivono e inviano. Se ti sei mai chiesto - o se non hai mai capito - perché non sei stato minimamente badato da dei prospect a cui hai inviato via email, ci sono delle buone notizie. Uno studio di Boomerang rivela i motivi per cui alcune e-mail vengono aperte e altre vengono inviate direttamente alla spazzatura (o, peggio, in spam). I dati, basati su una raccolta di oltre 40 milioni di e-mail, hanno mostrato che alcuni messaggi e-mail, che esprimevano una moderata positività o negatività, hanno riportato un tasso di risposta che andava dal 10 al 15% in più, rispetto a messaggi di posta elettronica completamente neutri. Ma i venditori dovrebbero sapere anche che la ricerca ha mostrato che troppe emozioni nei messaggi hanno portato a tassi di risposta simili a quelli di email neutre. L'adulazione funziona, ma l'adulazione eccessiva no, ha scritto Alex Moore nel rapporto. La lunghezza ideale di un'email commerciale La lunghezza ottimale di un'e-mail è stata oggetto di molte discussioni. Ma secondo i dati di Boomerang, le e-mail tra le 50 e le 125 parole hanno i migliori tassi di risposta, appena superiori al 50%. Non scrivere email troppo lunghe I dati di Boomerang sono supportati anche da un recente studio di Constant Contact. In uno studio condotto su oltre 2,1 milioni di clienti, hanno riscontrato che le e-mail con circa 20 righe di testo avevano le percentuali di clic più elevate rispetto alle altre. Questo si traduce in circa 200 parole complessive, che è un po' superiore rispetto ai dati di Boomerang, ma fornisce comunque - mettendo insieme i due dati - un intervallo utile. In caso di dubbio, più breve è generalmente meglio, quindi sempre errare sul lato di less is more e mantenere le e-mail al di sotto di 200 parole. Evita di scrivere le tue e-mail troppo brevi Boomerang ha anche riscontrato che le e-mail brevi e dirette hanno avuto un feedback megliore con i potenziali clienti e hanno ottenuto più facilmente una risposta. (Ecco perché l'account executive di HubSpot Dan Muscatello scrive brevi email di prospezione - due frasi lunghe al massimo). Tuttavia, i numeri hanno rivelato una linea sottile: le e-mail che erano più brevi di 10 parole hanno ottenuto una risposta solo il 36% delle volte che sono state inviate. Torna in terza media Successivamente, lo studio ha mostrato che le e-mail scritte a un livello di lettura comprensibile ad un ragazzo di terza media, avevano il più alto tasso di risposta. Queste e-mail hanno registrato un rendimento di un + 36% in termini di apertura, rispetto a quelle scritte per un livello scolare superiore e hanno registrato un tasso di risposta del 17% in più. Inoltre, i dati suggeriscono che le e-mail informali a ruota libera sono le migliori per suscitare una risposta da parte dei destinatari. Includere sempre una domanda Una buona pratica sarebbe anche quella di includere un ask in ogni email di vendita che invii. Spesso i venditori sondano i potenziali clienti per ottenere informazioni, quando inviano loro dei messaggi. Ma quante domande sono troppe quando invii un'e-mail? Lo studio ha mostrato che quando i commerciali inserivano nell'email da una a tre domande, i destinatari avevano il 50% di probabilità in più di rispondere, rispetto all'e-mail senza domande. Abbrevia l'oggetto E se nessuno apre le tue e-mail, non importa quanto tempo ci hai dedicato a scriverle e quanti caratteri ci sono dentro, che tono hai usato o se hai messo domande. Boomerang ha trovato delle indicazioni secondo le quali le e-mail con solo tre o quattro nell'oggetto, hanno ricevuto la maggior parte delle risposte. Non aspettarti che le immagini risolvano tutti i tuoi problemi Mentre ascoltiamo molte voci che ci racconta store su quanto le immagini siano importanti e possono aumentare il coinvolgimento degli utenti, c'è una linea sottile tra attenzione e attenzione. Una ricerca di HubSpot suggerisce che quando il numero di immagini in un'e-mail aumenta, la percentuale di clic diminuisce. Usa lo stesso livello di moderazione con le immagini come fai con il testo. Manda un'e-mail al giusto prospect (e non a chiunque) La ricerca di HubSpot suggerisce anche che le e-mail in cui il nome del destinatario è incluso nella riga dell'oggetto hanno percentuali di clic più elevate rispetto a quelle senza personalizzazione. Se non si investe il tempo necessario per ricercare il potenziale cliente e creare un'e-mail preziosa, non importa se si raggiunge la lunghezza perfetta della posta elettronica. Va inoltre considerato che esistono innumerevoli tipologie di lead, e diverse situazioni per ognuno di essi: assicurati di scrivere la giusta email al giusto soggetto nella giusta condizione. Il tuo prospect non sarà interessato a quello che hai da dire, perché non hai mai detto nulla a lui prima di mandargli questa email. Quanto ti interessa l'email di qualcuno che non conosci? Per quello è nato l'inbound marketing e l'outbound marketing è morto. PS Indovinare la giusta lunghezza di un'email non è la sola questione importante. C'è anche il tema di una grande partenza dell'email per coinvolgere da subito l'interlocutore. Puoi approfondire l'argomento sul post del blog Come iniziare un'e-mail commerciale
La trasformazione digitale del modello di business di un'azienda oggi può fare la differenza per le aziende che vogliono crescere, aumentare il fatturato ed espandersi in nuovi mercati. Bisogna abbandonare la conforto zone delle telefonate a freddo, dei venditori portata a porta che suonano i campanelli, delle liste di email comprate e dei pacchi di elenchi morti raccolti ad una fiera. Bisogna avere coraggio ed investire un budget - anche solo per un progetto pilota di 20-30mila euro - per esplorare un nuovo linguaggio, aprirsi a nuovi territori e capire un nuovo modo - e mondo - di fare business. Il connubio della tecnologia e delle metodologia, un modello che Brian Halligan e Darmash Shah hanno presentato con il nome di inbound marketing, può portare l'economia del dato all'interno della piccola, media e grande azienda italiana. Sul digital, nel mondo del web, pensare di operare senza strumenti adeguati è miope, illusorio, fallimentare. L'evoluzione tecnologia dell'ultimo decennio ha permesso di abbassare notevolmente il costo di questi strumenti e di renderli accessibili alla maggior parte delle tasche delle aziende minimamente strutturate. Ma la tecnologia, senza un conducente, è una schermata bianca di un software. Ci vuole il metodo. Ecco quindi che HubSpot fornisce anche il metodo, l'inbound marketing, e una piattaforma per per gestire tutto il processo, dal marketing (blog, form, landing page, call to action, social media, newsletter, sito web, marketing automation...), passando dal CRM (gestione dei contatti, task, opportunità, prodotti, preventivi...), per arrivare al servizio post vendita con il service (soddisfazione del cliente, bot, ticket di assistenza...). Parliamo di un connubio destinato a cambiare radicalmente il modello di business di un'azienda, proiettandola direttamente nei prossimi anni: non solo industria 4.0, ma inbound marketing e sales per continuare a vendere e ad aumentare gli ordini delle aziende che abbracciano questa innovazione.
Fare soldi online con l'inbound marketing sembra oramai la cosa più facile del mondo, la nuova panacea che centinaia di agenzie di comunicazione - sia partner di HubSpot che non partner - propongono. Ora, lasciando la parte la polemica che non si può fare inbound marketing senza il software che l'ha inventato - e quindi sapere che cazzo vendono... - c'è un problema che viene avanti, molto più grande: l'onda di clienti disillusi quando avranno capito che sono stati abbindolati con qualcuno che gli ha venduto l'ultima moda del momento. Con una ricaduta certamente negativa su quanti, invece, cercano di fare le cose per bene, allineare il cliente alla triste realtà, spiegandogli che, anche con l'inbound e con HubSpot, è difficile fare soldi online, bisogna sgomitare, lavorare, sbagliare ed investire. Ma d'altronde la maggior parte di queste agenzie sono passati dal fare cataloghi cartacei (sui quali erano ovviamente i più bravi del mondo) al realizzare siti web nell'arco di una notte... questo passaggio, dal farti il sito web aziendale, gestirti i social e scrivere qualche post del blog (perché sono anche grandi copy, quelli che sono partiti dai cataloghi, me ne ero dimenticato), a farti un progetto di inbound marketing... cosa vuoi che sia! Il danno maggiore lo ricevano i clienti, che vengono convinti di essere impegnati in una attività inbound marketing & sales destinata a cambiare il volto della loro azienda e invece andranno incontro ad una cocente delusione, arrivando a mettere in discussione tutto il modello (e questa poi diventa la ricaduta negativa sul settore. Ma dopo questa introduzione, andiamo nel cuore della questione con questi argomenti: Fare soldi online con l'inbound: mito o realtà? L'inbound non è sempre e comunque Fare inbound senza HubSpot, la frontiera del fai da te La tua azienda ha davvero bisogno dell'inbound? Una premessa, prima di continuare, per chi si fosse trovato catapultato a leggere di inbound marketing senza sapere di cosa stiamo parlando.L'inbound marketing è una metodologia che raggruppa tutti gli strumenti e tattiche che sono proprie del web marketing (sito web, blog, Socia Media, SEO, Adwords, ADS, landing page...) con l'obiettivo di portare i visitatori sul sito web, convertirli in contatti del database (lead generation), segmentarli in base alle interazioni con i contenuti che presentiamo sul sito, sui social network e nelle newsletter, per alimentarli successivamente nel modo corretto (lead nurturing), con l'obiettivo di trasformali in clienti, aumentando il fatturato dell'azienda. Il termine è stato coniato nel 2009 da Brian Halligan, co-fondatore e CEO di HubSpot, una società che si occupa di software per il marketing: è di quell’anno la pubblicazione del libro Inbound Marketing: Get Found Using Google, Social Media and Blogs scritto dallo stesso Halligan, Dharmesh Shah (uno dei creatori della società) e David Meerman Scott. Il libro è stata una grande campagna di pubbliche relazioni per far conoscere al mondo questo nuovo modo di fare marketing, un modo che sarebbe stato presto implementato in un gran numero di aziende. Pe approfondire l'argomento sul che cos'è l'inbound marketing potete leggere questi articoli: L'inbound marketing: cos'è e come funziona Inbound marketing: la spiegazione definitiva L'inbound marketing, il libretto delle istruzioni di HubSpot HubSpot, che cos'è e cosa fa 1. Fare soldi online con l'inbound marketing: mito o realtà? Fare soldi online è il grande mito di questa generazione: chi produce qualcosa, chi vende qualcosa, chi ha dei servizi che può fornire ad ampio raggio è spesso solleticato dall'idea di andare su web e trovare nuovi clienti o potenziali tali, un mercato enorme e globale di acquirenti che stanno cercando proprio quello che tu offri. L'inbound marketing cade a fagiolo su questa realtà spinta dal miraggio di poter aumentare i guadagni, uscire dalla crisi o partire con un nuovo business. D'altronde l'inbound promette di darti un metodo per trovare nuovi potenziali clienti, lavorarli commercialmente, segmentarli e riuscire a vendere loro qualcosa prima e meglio. Ma l'inbound poco ha a che fare con la voglia di vendere di più e subito: l'inbound marketing è un nuovo modo di avvicinarsi e gestire il marketing digitale di un'azienda dove la parola d'ordine non è vendere, vendere, vendere, ma ascoltare, aiutare, affiancare. Si, sto parlando di cultura aziendale e di una differente attitudine e propensione di avvicinamento al potenziali cliente. Non è più una mucca da mungere ma una persona che ha bisogno di qualcosa e che - forse - il nostro prodotto o servizio può aiutare ad ottenerlo. Fare soldi online non è l'obiettivo dell'inbound, semmai una conseguenza, una conseguenza di un cambiamento radicale nel modello di business, rispetto alle tecniche di promozione e di vendita del XX° secolo. Vendere il tuo prodotto o servizio a chi ne ha bisogno significa certamente riuscire a guadagnare, ma il focus non è sul fare soldi online. So che per chi è concentrato a trovare una soluzione veloce e subito alla questione guadagnare subito grazie al web può sembrare un cavillo, ma non è affatto così. Fare soldi online è la conseguenza di un progetto di business chiaro, investimenti importanti, studio e abnegazione, non basta dire faccio inbound e cominciare a scrivere un blog, offrire qualche pdf o video a cui accedere tramite una landing page e la compilazione di un blog. Stiamo proprio giocando partire differenti. Conoscere il proprio potenziale cliente, per poter vendere di più e meglio. Ma il focus è tutto sulla conoscenza, sul costruire un'azienda e un business che ha a cuore i bisogni degli altri, in un mondo più etico. ATTENZIONE: non significa che chi fa inbound regala soluzione, al contrario: le aziende che falliscono e vanno in bancarotta non rendono felici i propri clienti. I clienti sono contenti di pagare un prodotto o un servizio se questo funziona bene, se li sta aiutando, se si sentono seguiti. Insomma: è un po' piò variegato e complesso del guadagnare online. 2. L'inbound (ed HubSpot) non è sempre e comunque Ci sono casi in cui l'inbound non è proprio un affare per te. E non serve spendere 100mila € in tre anni per capire che, alla fine, i conti non torneranno. Partiamo da definire quanto costa fare inbound marketing. Il costo dell’inbound marketing non è un elemento accessorio di cui discutere a margine della definizione del progetto. Fare inbound marketing richiede si una strategia e degli strumenti, ma, sopratutto, richiede risorse economiche – sia che per l’operatività ci si rivolga a un partner HubSpot, sia che si preferisca gestire la grossa mole di lavoro all’interno. L'investimento per fare inbound marketing parte da un budget di almeno 30.000 € l’anno per un progetto pilota tra ore interne, software, consulenze estere e e formazione e acquisto spazi pubblicitari. Per approfondire il tema dei costi puoi leggere il post del blog Il costo dell'inbound marketing, perché in questo articolo il costo, seppur rappresentando una discriminante, non è il focus del discorso. Già questo definisce in partenza che per provare a fare inbound marketing bisogna mettere sul piatto un 30k l'anno e, sapendo che si tratta di andare a correre una maratona (posizionamento SEO, costruzione base affezionata sui social e di iscritti alla newsletter, autorità generale non si conquistano in pochi mesi), moltiplichiamo pure per - almeno - 2 questo costo. Non vuoi mettere sul piatto almeno 60.000 € in due anni? Lascia perdere! Continua a fare quello che stai facendo, che va benissimo! Ma non è solo la voglia di mettere sul piatto un gettone che può essere considerato corposo, che fa la discriminante tra fare inbound oppure no (voglio dire: con 3-5.000 € l'anno non fai nulla...). Può essere che un'azienda sia animata dalle più buone intenzioni ed abbia il portafoglio pronto a svuotarsi per la campagna di comunicazione con inbound marketing più bella della storia, ma... MA... MA non sia affatto una buona idea. Cioè: fare cultura, attrarre lead, alimentare lead...ò tutto questo ha un costo, che potremmo definire costo a contatto: devi sempre chiederti, cin la spesa messa in campo, quante probabilità avrai di attirare un numero sufficiente di clienti, il cui fatturato giustificherà la spesa sostenuta. Se spendi 50.000 € ma per guadagnarli devi trovare 50.000 nuovi clienti... boh, non mi sembra lo strumento più adatto. A volte potresti avere budget e valore del cliente, ma la tua attività si concentra in un territorio così poco esteso da rendere superfluo ogni investimento su web che si trovi a travalicare i confini della zona, finanche a costituire un problema come quantità di contatti generati e da gestire (tutto ha un costo!). 3. Fare inbound senza HubSpot, la frontiera del fai da te HubSpot e inbound marketing & sales sono un connubio imprescindibile: non sapremo mai se nella testa di Brian Halligan e di Darmesh Shah sia nato prima l’uovo a la gallina. Ovvero possono anche raccontarci di avere pensato e codificato questa nuova metodologia, l‘inbound marketing, perché delusi dai risultati sempre meno performanti delle tecniche tradizionali e per cambiare il volto della comunicazione, per renderla meno intrusiva e fastidiosa. E fino a qui ci sta. Ma io non ho capito davvero se avessero in mente, fin da subito, di costruire un software per gestire questa nuova metodologia e trasformarlo in un’azienda globale. Vado diretto al punto: non si può fare inbound marketing senza utilizzare HubSpot e il fatto che in Italia ci siano un sacco di agenzie e consulenti che propongano inbound marketing & sales senza far riferimento alla piattaforma – senza neppure sapere che esiste – è una situazione generata dall’assenza di HubSpot in Italia nei primi 10 anni in cui il termine inbound marketing & sales e la metodologia inbound, hanno travalicato i confini nazionali degli Stati Uniti per arrivare qui. In altre parole: non usare HubSpot per fare inbound marketing, in assenza nel mercato di una piattaforma che “pensi” e “ragioni” come HubSpot, offrendo i servizi che offre HubSpot, significa in parole povere non fare inbound marketing. Se hai capito la metodologia inbound marketing e inbound sales tutto si basa su attrazione, conversione, segmentazione, qualificazione commerciale e chiusura. Per fare questo hai bisogno (e prendete un bel respiro perché la frase è lunga) di un software che ti permetta di gestire contenuti, ottimizzarli, gestirne la distribuzione (l’ottimizzazione SEO, mobile, la condivisione sui social), che ti permetta una raccolta di lead e la loro gestione in liste a seconda delle interazioni che questi hanno con i contenuti (post, pagine, landing, call-to-action, social, email, referral, link), che queste liste si aggiornino e siano fluide e dinamiche per accogliere i cambiamenti di interessi e necessità dei lead, che ti permetta di capire – attraverso una mappatura dei contenuti digitali dell’azienda – quando il contatto è qualificato commercialmente, in modo da procedere alla fase di smarketing e, con la marketing automation, curare l’alimentazione del lead e portarlo verso la chiusura, quando non si reputi necessario la creazioni di attività dirette dei commerciali. No, comunque, non sto dicendo che se vi hanno venduto “l’inbound marketing” senza HubSpot vi hanno truffato. Ma c’è speso un misunderstanding comune attorno a questa metodologia. Moltissime persone che “la vendono” o che sono convinti di farla. Ma io so che non mi credete proprio fino in fondo. Ecco quindi che vi ho preparato due approfondimenti: Alternative ad HubSpot per provare a fare inbound marketing Frankenspot: trasformare Wordpress in un mostro mutante per provare a fare inbound 4. La tua azienda ha bisogno dell'inbound (e di HubSpot)? Oramai dovresti avere incamerato abbastanza informazioni per capire se pre te ha senso investire in una campagna di digital marketing e se l'inbound marketing è in grado di farti guadagnare online, permettendoti di trovare nuovi clienti. Se ancora non l'ha fatto, ti invito a scaricare l'ebook gratuito Che senso ha l'inbound per la tua azienda. Ora, vuoi davvero tagliare la testa al toro? 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