Il problema principale legato alla trasformazione digitale della customer experience? In questo articolo analizzeremo il nodo focale che permette alle aziende di avviare un processo virtuoso, volto al cambiamento dei processi, delle metodologie e delle tecnologie che abilitano all'innovazione dei sistemi di vendita, di comunicazione e di assistenza al cliente: il dato. L'obiettivo: il dato e la conoscenza per vendere L'obiettivo di un percorso che porta l'innovazione ad essere un modello permanente di business all'interno di un'azienda è quello di costruire un asset di valore utilizzando IL DATO e rivoluzionare il modo in cui prodotti e servizi vengono pensati, sviluppati ed evoluti, attorno ai bisogni del cliente. Ha tutto a che fare con il cliente, non con il tuo prodotto. Il tuo prodotto non c'entra, c'entra solamente il motivo per cui una persona può comprarlo. Ma per conoscere i motivi bisogna conoscere le persone che acquistano. Per categorizzare e gestire queste informazioni - sapere quello che vuole il cliente, come mutano i suoi bisogni in relazione a quello che un'azienda vende - bisogna costruire un sistema di dati e che questo sia strutturato per generare questo tipo di conoscenza. Forse, alla fin fine, quando si parla di digital transformation si parla di questo, di poco più. Solo che per arrivarci, per costruire un sistema che accumula ed immagazzina dati, per poi raffinarli e lavorarli e presentarli a chi ne ha bisogno, nel giusto momento per fare il lavoro migliore, il lavoro alle spalle è difficile. Difficile perché presuppone che questo dato venga raccolto dal marketing, venga raccolto dal commerciale, venga raccolto dall'amministrazione, venga raccolto dall'assistenza al cliente... cioè da tutti quelli che hanno a che fare con il cliente, in tutte le fasi in cui ci si può relazionare con lui. Significa cambiare software: bisogna utilizzare dei software in grado di darci questi dati e di strutturali per costruire conoscenza ed azioni. Significa cambiare processi e metodi: di relazione, di inserimento, di gestione, il tutto orientato alla costruzione del dato e al suo utilizzo. Il NON SAPERE Cioè, chi è che in un'azienda si sveglia alla mattina per andare in azienda per spiegare a tutti che bisogna cambiare tutto? In primis, per farlo, ci servono due requisiti: 1- che questa persona che si dovrebbe alzare ed andare al lavoro per dire innoviamo dovrebbe SAPERE cosa significa, dovrebbe avere una visione generale dei processi marketing, commerciali e di customer support per poter interloquire con i vari responsabili, individuare criticità, problemi, opportunità ed innestare all'interno tecnologie e metodologie in grado di abilitare il cambiamento. 2- questa persona dovrebbe avere questa MANSIONE, cosa che - generalmente - non spetta a nessuno. Avendo questa mansione specifica, ovvero essere il responsabile dell'innovazione per migliorare processi per ridurre costi, difficoltà e vendere di più (grossomodo), una figura aziendale potrebbe SAPERE, perché studierebbe e si concentrerebbe sul tema. Il cambiamento non accade per caso Il cambiamento deriva da una volontà di miglioramento. Se non c'è questa volontà non ci sarà mai nessuno che SA come introdurre software, metodologie di lavoro, discutere processi... occuparsi - insomma - della Digital Transformation, semplicemente perché non è compito suo, non se ne occupa, non si sveglierà mai al mattino per andare in ufficio e mettere in discussione tutto. La volontà di cambiare in azienda può arrivare da una sola posizione: il CEO o, in aziende più padronali, dall'imprenditore. Solo il capo può scegliere di intraprendere una strada così dirompente nei processi e nelle pratiche quotidiane: il che non significa necessariamente imporre un percorso ma, più propriamente, accendere la miccia. La Digital Transformation non può funzionare se è un'imposizione, se non è una visione condivisa e se non è un percorso capito e diventato un obiettivo di tutta tutta l'azienda. Proprio perché è un percorso dirompente che cambia metodologia di lavoro, strumenti, visione... necessita di uno sforzo straordinario per uscire dal rigido schema nel quale le persone sono inquadrate all'interno dell'organizzazione. Le persone devono essere entusiaste di intraprendere un percorso che le porti a cambiare. Ma il cambiamento è difficile. Il cambiamento ha bisogno di persone preparate, di persone che abbracciano la voglia di migliorare. E questo non si fa con un'imposizione ma con la condivisione. Ecco che la digital trasformation, che deve partire dal capo, ha bisogno del supporto di tutta l'azienda se non vogliamo farla fallire, se vogliamo portare a casa il dato, la conoscenza e il miglioramento. Da dove partire Si parte dalla voglia di innovazione del boss, del capo, del manager.... da qualcuno che ha potere di vita o di morte su un'azienda o una parte di essa. Da una volontà forte di cambiare paradigma, dalla consapevolezza di si devono cambiare le fiere di settore per organizzare e raffinare i dati, che le informazioni derivanti dall'industria 4.0 devono orientare il marketing, che i dati raccolti dal marketing devono orientare le scelte di produzione, che il dato in azienda deve essere utilizzato per creare valore. Ma per fare questo bisogna cambiare tecnologie, processi e visione. Una volta che qualcuno, in capo alla lista di comando, schiaccia il bottone delle digital transformation, qualcun altro deve prendersi in carico l'onere e l'onore di procedere. Ci deve essere una figura, alle dirette dipendenze del management superiore dell'azienda, in grado trasformare in un progetto complessivo e di rompere le barriere che separano i vari silos aziendali: marketing, commerciale e servizio al cliente. Tutti i reparti che si occupano della Customer Experience devono - nella differenza del loro mansionario quotidiano - lavorare con lo stesso obiettivo, con la stessa spinta, condividere le stesse informazioni e le stesse metriche. Ma chi è in grado di avere una visione a 360° sull'intero funzionamento della macchina aziendale, avere le skill sulla comprensione del digitale e le implicazioni che l'introduzione di software hanno sui processi, chi è in grado di vedere tutto questo e far generare un valore sistematico, trasformabile in asset? Attenzione. Può essere un interno o un esterno, un consulente o un'azienda. L'importante è che sappia come si gestisce il progetto di Digital Transformation, che abbia un'esperienza pregressa in ambiti similari e che sia animato dalla stesa visione del management. L'obiettivo è portare questa visione del dato all'interno dell'azienda, occupandosi di software e metodologie per conseguire il risultato, affiancando i vari responsabili dei reparti/silos e, con loro, mettere in sub iudice tutti i modelli e le procedure consolidati per costruirne di nuovi. Tecnicamente questa figura si chiama CDO, Chief Digital Officer, e sempre più aziende si stanno dotando di un manager con questo ruolo. Il primo passo: il CRM Il primo passo, senza dubbio, è l'inserimento di un CRM in grado di controllare e gestire tutti i numeri che hanno a che fare con la costruzione del dato negli ambiti toccati dalla Digital Transformation: le vendite, il marketing e il servizio ai clienti. Un CRM che permetta di raccogliere le informazioni: sugli appuntamenti, sulle telefonate e sulle email one to one inviate; sui comportamenti delle persone in relazione al sito, ovvero le pagine viste, le call to action cliccate, le pagine non viste, i form compilati, l'origine del navigatore sui comportamenti sociali (se ci hanno dato dei click sulle pagine aziendali di Facebook o LinkedIn, per esempio) che raccolga i comportamenti dei contatti con le newsletter che inviamo (i click, le aperture) che sappia tenere traccia dei preventivi aperti, dei prodotti venduti, delle opportunità perse che raccolga tute le informazioni sull'apertura di ticket, problemi di riscontrati, chat con l'assistenza... eccetera E, che alla fine di tutto il giro del fumo, sappia/permetta di mettere in relazione questi dati costruendo liste e cluster di contatti mescolando i dati di vari genere (derivanti dai comportamenti marketing, sales, service...). Noi per fare questo abbiamo scelto HubSpot, forse il miglior software che sta alle spalle del CDO per la costruzione di un progetto di dati con la trasformazione digitale. Anche perché, oltre alla raccolta delle informazioni, permette di gestire le attività pratiche e le operations di marketing, sales e service. Partire da un progetto di implementazione con HubSpot Marketing and Sales è un buon punto di partenza per entrare in questa cultura. Attenzione: non sto parlando dell'adozione di un software, qui l'attenzione è posta sul PROGETTO PER L'ADOZIONE del CRM, che significa un percorso di analisi e di comprensione della situazione attuale (l'as is) per definire gli obiettivi del percorso (il to be) e capire, passo dopo passo, come implementarlo all'interno di una realtà aziendale. Il secondo passo: integrazioni Abbiamo scelto il CRM ma il CRM potrebbe non bastare a se stesso. Basta pensare al programma gestionale, al software per gli ordini online, ad un programma per gestire le casse fisiche nei negozi o ad un tool per la gestione degli eventi... Sono tutte potenziali fonti di informazioni che potrebbero essere utili per l'aggregazione del dato in un punto centrale, da poter utilizzare insieme ad altre per costruire cluster complessi a sempre maggior valore aggiunto. Pensiamo ad un'azienda con un reparto commerciale che utilizza il CRM per l'inserimento delle nuove opportunità e tiene traccia dalle richieste dei clienti, oltre che di tutte le comunicazioni con questi. La stessa azienda potrebbe avere anche un e-commerce per la vendita o al B2B o al cliente finale e quegli ordini andrebbero persi dalla visione globale del CRM, non essendo gestiti con un processo one to one dai venditori. L'utilità di avere all'interno del CRM anche gli ordini che avvengono sulla piattaforma online, senza mediazione, sono comunque un elemento prezioso sia per l'upselling, sia per l'assistenza al cliente. Ecco quindi che entra in gioco una parola magica, data integrazione, ovvero connettori che passano le informazioni da una applicazione all'altra (monodirezionale o bidirezionale, a seconda delle necessità), per tenere i database aggiornati dove serve. Parliamo di sviluppo di connettori per far dialogare i vari software, un progetto sempre più importante per molte aziende e che sottende uno uno dei principi ispiratori della Digital Transformation: utilizzare software snelli, facili e con compiti altamente specializzati per le varie mansioni aziendali, che dialogano con altri software pensandosi le informazioni che servono. Alla fine, che visione, avremo un Little big data basato su tutte le proprietà digitali e i vari punti di inserimento dati dell'azienda. Il terzo passo: sperimentazione Direi che non c'è molto da aggiungere, parlando in linea generale. Molto da aggiungere se entrassimo nella casistica di ogni singola azienda e processo aziendale. Il consiglio, arrivato a questo punto, è semplice: sperimentare. Fail fast, evacuate faster sul principio di introdurre piccoli progetti scalabili per validare modelli, visioni e processi. Se funziona si scala, se non funziona si molla tutto e si cambia rotta. Essere snelli, essere lean, essere veloci... anche questo significa essere digital e abbracciare questa visione di sviluppo per il business della tua azienda.
Per provare a spiegare cos'è StockX, parto da lontano, ovvero dalla possibilità di acquistare scarpe da ginnastica per mettere da parte soldi. La digital transformation della customer experience non nasce sempre all'interno di aziende e non è sempre guidata da CDO illuminati. Anzi...Accade spesso il contrario, che dalle esigenze di un segmento di mercato nascano startup o rami d'azienda in grado di mettere a sistema e fare business organizzato sopra a movimenti socio-economici spontanei. Di cos sto parlando? di investire in sneaker anziché in azioni o in Bitcoin. E no, non è una provocazione. I rendimenti sugli investimenti in sneaker superano spesso le forme più tradizionali e conosciuti con le quali si accantona denaro. Il mercato del resell Certamente ci sono un sacco di motivi che hanno portato a questa situazione, non da ultimo - o forse soprattuto - il fenomeno del resell online, ovvero la rivendita delle sneaker (ma non solo, parliamo di abbigliamento in genere) ad un prezzo maggiorato rispetto a quanto vengono venute a retail, per una domanda molto più alta dell'offerta messa in circolo dai brand. Ma vediamo di capirci qualcosa, per non perdere per strada nessuno. Prima di parlare di resell, parliamo del suo opposto, che è il metodo di vendita tradizionale che tutti quanti conoscono, il retail. Che cos'è il retail? lo facciamo spiegare ad MVC Magazine: Il mercato retail o mercato al dettaglio, caratterizza tutte le attività di vendita da parte di un’Azienda o di una Società, rivolgendosi direttamente al consumatore di beni o servizi che vengono da esse acquistati per un utilizzo personale o familiare. In parole più semplici significa che: il consumatore X ha acquistato la sua sneakers o capo street direttamente dal negozio Nike, adidas, Supreme, The North Face, Gucci e così via. Ad oggi è la soluzione di vendita più utilizzata in ambito commerciale. L’attività di vendita al dettaglio può avvenire tramite vari canali: negozi fisici, negozi online (ecommerce) o tramite consegna a domicilio (home delivery). E quindi... cos'è il resell? Ci viene in supporto il posto Streetwear: Come funziona il mercato resell e quanto si guadagna che lo definisce in maniera chiara e completa: Lo streetwear resell si basa, dunque, sulla rivendita di vestiti, scarpe e accessori ad un prezzo più alto rispetto al loro prezzo originale. Marchi conosciutissimi come Supreme, Off-White e Balenciaga vengono presi d’assalto dai reseller, che comprano capi esclusivi, meglio se in edizione limitata, ma non per tenerseli, al contrario, per rivenderli. Dopo qualche settimana o mese, infatti, li rivendono online, anche a prezzi quadruplicati. Domanda: perché c’è così tanta gente disposta a pagare cifre esorbitanti per una felpa o una scarpa firmata? La risposta è semplice. Perché, essendo oggetti da collezionismo, tutti i buyer devono averli a qualunque costo. Nell’era del possesso e del materialismo, questo è solo la punta dell’iceberg. Se un amico o un ragazzo che seguiamo su Instagram ha l’ultima Supreme hoodie, la vogliamo anche noi. E magari siamo disposti a pagare il doppio pur di averla. La smania di “avere e possedere” tutti i capi all’ultima moda, che hanno tutti, ha superato di gran lunga l’attesa e il desiderio di comprarne uno solo in particolare. In realtà, tutto è uguale a tutto. Una determinata felpa non ha più valore di un’altra. Noi dobbiamo averle entrambe. Questo è il buyer’s point of view. Dall’altra parte, c’è chi ha più smania (e mica è stupido!) di guadagnare. Cosa fa, quindi? Va a comprare la Supreme hoodie a 200 euro, per esempio, e la rivende anche a 100/150 euro in più. Per restare bassi con il margine. Ecco il reseller’s point of view. Attorno al fenomeno si è sviluppata una cultura, un gergo, delle strategie e dei mercati alternativi, mossi si dalla passione, ma anche da queste opportunità di business che vi si sono innestate. Per chi è completamente a digiuno dell'argomento c'è un'interessante puntata di una trasmissione su Youtube, chiamata Muschio Selvaggio per cominciare ad orientarsi sul mondo nel quale provo ad aprire un piccolo scorcio, con l'obiettivo di ricondurlo al tema del post, ovvero che cos'è StockX e come funziona. Ora, se avete visto e capito di cosa stanno parlando Fedez e i suoi amici, credo abbiate capito che si tratta di una cosa seria (anche se ne parlano in modo scanzonato): parliamo di un mercato, quello globale del resell, da 30 miliardi di dollari l'anno in costante e in continua crescita, dove una parte importante viene giocata proprio dalle sneakers. E dove le cose si fanno serie nascono degli asset che permettono di lavorare in questo mercato: dalle app per tenere traccia delle entrate e delle uscite delle propria attività, passando per servizi di aggiornamento costanti sulle release di oggetti rari o di tendenza, a chi supporta e fa formazione, arrivando a chi gestisce l'acquisto e la vendita delle scarpe e degli accessori di abbigliamento come e veri e propri fondi azionari. Che cos'è StockX In questo panorama merita sicuramente una nota di merito e una particolare attenzione StockX StockX è un marketplace consumer to consumer con un'intermediazione di denaro di trust da parte dell'azienda StockX. La startup è stata costituita nel 2015 e ha iniziato a lavorare 5 anni fa, nel febbraio del 2016. Oggi vale circa 3 miliardi di dollari, milione più milione meno. Nel 2020 ha favorito circa 15 milioni di transazioni tra gli utenti. StockX è un rivenditore di abbigliamento, principalmente di #sneakers. La società ha sede a Detroit ed è stata fondata da Dan Gilbert, Josh Luber e Greg Schwartz. StockX ha oltre 800 dipendenti presso nel centro di Detroit, un ufficio internazionale a Londra e strutture di autenticazione a Moonachie, nel New Jersey e Tempe, in Arizona. StockX funziona da middleman (intermediario) tra chi compra e chi vende: il venditore spedisce il proprio item a StockX che si occupa di autenticarlo, di spedirlo all'acquirente e allo stesso tempo di rilasciare il payout al venditore, in modo tale che entrambe le parti siano tutelate da eventuali truffe. Prende una percentuale da chi vende e un feedback da chi acquista. Qualcuno lo ha delfino il Nasdaq per gli sneakerhead, ovvero per gli appassionati di sneaker, perché guardando le ultime transazioni di un determinato modello per una determinata size, ci si può fare un'idea di massima di quello che potrebbe essere lo streetprice di resell (ovvero per rivendere) di una scarpa. Ovvio, considerando i costi di spedizioni e le fee aggiuntive. Come acquistare su Stockx? Innanzitutto bisogna registrarsi, poi si trova il modello di scarpa che si desidera e a quel punto si vedono tre informazioni essenziali, una volta selezionata la propria taglia: l'ultimo prezzo di vendita (e si può cliccare per vedere tutte le vendite), la migliore proposta di vendita - Ask - (e si può cliccare per vedere anche gli altri) e la migliore offerta di acquisto - Bid - (anche qua si posso vendere tutte le altre proposte). A questo punto avete due opzioni: acquistare l'oggetto accettando la proposta più bassa di un venditore o proporre una offerta (che può essere più alta della migliore proposta di acquisto che vedete o anche più bassa, il che incide notevolmente sulle probabilità che qualche venditore accetti la vostra proposta). Se acquistate direttamente al miglior prezzo, funziona che... state già comprando e non c'è nulla da aggiungere 😀 Se invece piazzate una offerta ad un prezzo inferiore rispetto alla proposta del venditore, questa rimarrà attiva un mese. Se nessun venditore l'accetta, dopo un mese potete rinnovarla o lasciare perdere. In qualunque momento potete aggiornare la vostra offerta per abbassarla o alzarla, a seconda di come va l'andamento di quella scarpa (e sì, ogni scarpa e taglia ha un andamento come le azioni in borsa). Come vendere su StockX Beh vendere su StockX funziona al contrario del comprare. Innanzitutto bisogna inserire le informazioni sul proprio oggetto (che deve essere NUOVO e non deve essere stato indossato in precedenza, nella sua scatola ed imballaggio originale): si trova l'oggetto corrispondente nel database di StockX e ci si aggancia alla scheda esistente per dichiarare taglia e condizioni. A quel punto si può scegliere se accettare l'offerta migliore per il proprio oggetto o se piazzare una proposta più alta. Ovvio che nel caso di proposta più alta la vendita non sarà immediata. Sarà cura di StockX, una volta venduto l'oggetto mandarvi l'etichetta da stampare per preparare il pacco (la lettera di vettura) e la fattura per riconoscere a quale transazione corrisponde l'oggetto che arriverà nel loro centro di smistamento e verifica di legittimità: questo DEVE essere inserito all'interno della scatola. Si potrà successivamente prenotare il ritiro a casa o consegnarlo in un punto UPS, come andate meglio. Sono comunque istruzioni che StockX vi invierà in modo dettagliato. ATTENZIONE: se l'oggetto deve essere inviato negli usa le copie della fattura da stampare saranno 3 e all'interno della scatola dovrete inserire anche i vostri documenti (carta identità, tessera con codice fiscale). I tempi di attesa, una volta acquistato, sono di circa 2 settimane: il tempo che arrivi dal venditore a StockX e da StockX al vostro indirizzo, quindi dovete essere armati di un po' di pazienza.
Gennaio 2021: i sostenitori di Trump assaltano Capitol Hill e ci scappano morti e feriti. Facebook e Twitter sospendono gli account dell'ormai ex presidente degli USA per impedirgli di divulgare ulteriori pensieri e parole sul tema del passaggio di consegne, delle elezioni e di tutto il resto. Beh, dopo questo cappello, potreste chiedermi e che ce ne importa? Siamo qui per capire, come promesso dal titolo, perché le nostre aziende non dovrebbero avere i social network al centro della strategia di crescita digitale. La gestione dei commenti nella vostra pagina aziendale E la risposta, in realtà, sta tutta in questa introduzione. Un passo indietro, proviamo ad andare su una situazione più famigliare. A molto di voi sarà capitato di avere una pagina di Facebook aziendale e gestire una pubblicità, una sponsorizzata all'interno della piattaforma ADS. E a più di qualcuno sarà capitato di avere persone che si inseriscono nei commenti di quel post sponsorizzato per dire il loro pensiero: il prodotto x della tal azienda è meglio di questo, ma come fate a pubblicizzare un prodotto che costa così tanto, io non lo comprerei mai... etc... Ovvero una serie di commenti, non sempre giustificati, che remano contro al messaggio pubblicitario che avete sponsorizzato, con l'obiettivo di vendere i vostri prodotti o far conoscere la vostra azienda. Cosa succede quindi? Avete un messaggio pubblicitario che nello spazio dei commenti si porta dietro il seme della delazione, con il risultato che il vostro sforzo economico per dare lustro a prodotti o azienda viene sporcato da questi commenti decisamente fuori luogo. Quindi li cancellate. Probabilmente bloccate anche i geni che li hanno scritti, sentendosi in dovere in dire sempre la loro, per non averli più in mezzo alle scatole. Il che è corretto: non siamo in una pubblica piazza e non siete su Facebook per raccogliere le opinioni del mondo ad canis cazzum, ma per incrementare il fatturato della vostra azienda (in qualche maniera). Potremmo immaginare che fareste la stessa cosa se arrivassero commenti razzisti, che incitano all'odio o messaggi etico-politici molto lontani dalle corde della vostra immagine aziendale. E continuerebbe ad essere corretto. Parliamo della vostra pagina, del vostro tempo o di quello di risorse che vengono pagate con uno scopo, della vostra promozione, della vostra tattica di marketing. Facebook è la grande pagina aziendale di Facebook Mi fa sempre un po' sorridere l'ingenuità di chi si appella alla democrazia, alla libertà di pensiero, alla libera espressione dei bisogno dell'individuo... parlando di un social network. I social network non sono nulla di tutto ciò: sono piattaforme che costano un sacco di soldi di sviluppo e mantenimento che delle aziende mettono in piedi con lo scopo di far dialogare/incontro persone per i più vari motivi. Questi saranno dettati dallo scopo del social network al quale ci riferiamo. Ora, tra i social che mi vengono in mente, non mi sovviene uno che abbia lo scopo di dire, fare, condividere tutto quello che gli esseri umani hanno in mente. E le aziende che stanno dietro a questi social network non sono decisamente associazioni filantropiche che hanno lo scopo di divulgare la democrazia, che sostengono la libertà di parola o qualunque altro scopo che vi immaginate al mattino. Parimenti alla vostra pagina aziendale, se contengono contenuti che incitano all'odio o anche, semplicemente, sono lontani dai valori di base che quell'azienda si è data, possono arrogarsi il diritto di cancellare quello che vogliono. Se non vogliono essere additati come quelli che danno sfogo, visibilità e cassa di risonanza alle accuse - invero non dimostrate - di brogli elettorali nell'elezione del presidente dagli USA da parte del presidente uscente, sono liberissimi di farlo, anzi, dal loro punto di vista fanno anche bene. Magari per qualcuno è esagerato quando viene bloccato un account di Facebook di un politico perché in una trasmissione è stato portato a cantare, con troppa leggerezza Faccetta Nera ma è semplicemente l'opinione di questo qualcuno, contro l'opinione di chi detta le regole sui contenuti di quel social network. Un po' come fate voi con la vostra pagina aziendale quando arrivano commenti dissonanti rispetto al messaggio al quale volete legare la vostra azienda. Ripetiamolo: i social non sono la pubblica piazza dove la democrazia diventa il baluardo e la libertà di parola il concetto portante totalitario. Io proprietario di una pagina aziendale su Facebook posso cancellare i commenti che non sono in bolla con i miei valori aziendali. Io che ho un gruppo su Facebook posso scegliere di buttare fuori chi voglio, quando voglio e anche senza alcuna motivazione, non infrango nessuna legge o regolamento. Io che ho un profilo personale posso bloccare chiunque mi dia anche solo leggermente fastidio o mi stia antipatico, impedendo a questa persona di leggere quello che scrivo e quello che condivido. I nostri spazi personali sono più dittature che agorà destinate al dialogo. Ora, non c'è alcun motivo che queste piattaforme diano spazio a gente che la pensa in maniera diametralmente opposta ai valori di ogni società che sta dietro ai canali social o, peggio, che continuino a dare spazio a persone che secondo loro non stanno certamente facendo il bene del mondo. Non siamo qui a parlare di democrazia ma di aziende A me pare abbastanza chiaro perché non potete immaginare che la vostra azienda costruisca sui social un pilastro portante della comunicazione, perché non si possa ritenere la pagina di Facebook o l'account di Twitter un asset di valore, determinante, per lo sviluppo della propria strategia di comunicazione. Infatti non siamo qui a parlare di democrazia, stiamo parlando di business. La pagina su Facebook non è tua. Facebook non è tuo. Un cambio dell'algoritmo minimale fa la differenza tra esistente e scomparire per qualunque contenuto. Non sai cosa sarà Facebook domattina. Sopratutto: la tua azienda non è un influencer che - giocoforza - non può prescindere dai social per la sua esistenza. Insomma, il tuo asset aziendale non è certamente la pagina di Facebook o di Linkedin ma è il tuo sito, il tuo blog, la tua app... insomma elementi che sono intimamente tuoi, sui quali hai il pieno controllo. Lo ripetiamo da anni: mettere in piedi una strategia digital che porti valore, ti aiuti a crescere e acquisti valore nel tempo deve concentrarsi su elementi che puoi mettere a cespite, a valorizzare, giustificandolo. Il grande valore di un'azienda (anche di Facebook e Google, sì...) sono i dati (e le autorizzazioni per trattarli). Perchè per la vostra dovrebbe essere diverso? Non puoi essere schiavo e rincorrere i social senza una strategia più ampia. Ma potrei dire lo stesso di Google e la famigerata SEO: non puoi pensare che sia tutto li. Se Google ti banna o cambia qualcosa nei risultati delle ricerche, può crollare una certezza sul quale si era costruito un impero. Sono canali di distribuzione che devi usare per portare la gente all'interno dei tuoi asset di valore... Vabbeh mi sto per incanalare in uno spippolone che parla di asset di inbound marketing, di valore, di contenuti di valore. Evito (se volete capirne di più su che macchina metterei in piedi mi chiamate/contattate, non era questo il senso di questo articolo): volevo solo iniziare l'anno con un pensiero cosciente di marketing a cui dovrebbe portarti la vicenda Trump di gennaio 2021. Buon anno :)
Nel mondo globale in continua evoluzione in cui viviamo, stare al passo con i nuovi bisogni, possibilità e stili di vita sta diventando sempre più difficile. Le nuove tecnologie, i dispositivi intelligenti e la costante connessione rendono quasi impossibile non avere un impatto sull'ambiente di lavoro. E questo ci porta alla Smart Working, parola imparata dalla maggior parte delle aziende italiane in seguito all'emergenza Covid-19. Lo Smart Working obbliga a ripensare il modo in cui si pensa al lavoro, ovvero sul modello di organizzazione delle unità produttive. Non si tratta solo di dare un computer e una connessione alle persone per farle lavorare da casa. Lo Smart Working è, infatti, un insieme di pratiche manageriali create per aiutare le aziende e le istituzioni a ripensare il loro approccio al lavoro e per incoraggiarli ad abbracciare le innovazioni digitali (Digital Transformation). L'idea alla base è quella di dare alle persone autonomia e flessibilità nella scelta di dove, quando e come lavorare, concentrandosi su risultati e risultati invece di contare le ore di lavoro in ufficio. Ci sono un asco di ricerche che vengono citate di solito in proposito, sul fatto che le persone sono più produttive quando sono in grado di lavorare nel modo più adatto a loro. I principi fondamentali della filosofia Smart Working coinvolgono cinque aree della vita lavorativa: leadership, posto di lavoro, tecnologia, gli edifici (uffici), persone e cultura. All'interno di ciascuna di queste aree, possono essere prese alcune iniziative che miglioreranno la vita lavorativa e la produttività dei dipendenti. 1. Ripensare la leadership La flessibilità né la norma per la leadership. Tutte le vecchie e buone capacità manageriali non sono minimamente messe in discussione, continuano a servire e ad essere quelle che conducono l'azienda. La flessibilità, la capacità di prendere decisioni sulla base dei risultati, l'abilità di coordinare le persone, restano i punti cardine delle postazioni di comando. Si devono averi obiettivi chiari, una chiara strategia e delle scadenze chiare. 2. Ripensare il posto di lavoro. Gli spazi degli uffici sono destinati alle attività, non necessariamente per ospitare individui. Ci vogliono degli spazi per poter lavorare tranquilli se qualcuno non ha una situazione di tranquillità a casa; ci vogliono degli spazi destinati ai vari progetti. Ma sono spazi che vengono, appunto, occupati dagli individui solo se c'è il bisogno, non perché bisogna occuparli. Il posto di lavoro, dando ai dipendi la possibilità di usufruire della connettività estensa, cambia la sua natura: la condivisione delle informazioni e del lavoro tra i membri del team definisce il posto spazio all'interno dell'azienda. 3. Ripensare la tecnologia La tecnologia viene pensata per le persone, non per penalizzarle e scoraggiarle. Usare la tecnologia in modo corretto significa diventare digitali di default. Significa che i servizi offerti ai clienti su richiesta sono sufficienti per soddisfarli e, quindi, che la tecnologia permette di intercettarne i bisogno di di gestire le richieste. Significa che i big data possono aiutare l'attività del marketing e delle vendite per conoscere meglio il proprio potenziale cliente. Significa avere integrazioni senza soluzione di continuità tra fisico e digitale, per migliorare la l'efficacia e i valore dell'offerta al cliente. Lo Smart Working ha bisogno di: aggiornare continuamente il sistema e l'infrastruttura con le ultimi sviluppi e tendenze della tecnologia un training continuo per i dipendenti un uso consistente di sistemi, programmi, App, estensioni... fare in modo che i proprio computer e Device siano sempre aggiornati e funzionanti. 4. Ripensare la Cultura e le Persone Il lavoratore deve: essere trasparente, onesto ed affidabile coordinarsi con gli altri continuare a confrontarsi con riunioni lavorare IN team PER il team (e il team per l'azienda che lavora per il cliente) Nota bene: la comunicazione costante è essenziale. Bilanciare il lavoro e la vita, ripensare i ritmi e coltivare entrambi: questo l'obiettivo del lavoratore smart. 5. Ripensare gli uffici Di quanto spazio hai realmente bisogno? Mi pare giunto il momento di razionalizzare e ottimizzare gli uffici di proprietà o in affitto. La produttività dei dipendenti non dipende dallo spazio extra, dai metri quadri o dal numero delle sedi. Il consiglio è quello di creare degli Hub a disposizione dei dipendenti, con gli strumenti a disposizione per la produttività e per comunicare gli uni con gli altri in base ai bisogno. Questi Hub devono essere un supporto per chi deve essere presente in ufficio (riunioni, produttività, bisogno di confronto diretto...) ed essere ambienti tranquilli e rilassanti. L'idea di correlate con degli spazi verdi all'interno o all'esterno dell'ufficio fisico, aiuta molto a rendere più umano il posto di lavoro e far sentire a loro agio i dipendenti. Perché persone che si sentono confortevoli sono anche le più produttive.
Smart working è una parola che è entrata nel linguaggio comune delle aziende italiane per permettere di continuare il lavoro amministrativo, commerciale e marketing in sicurezza, ognuno isolato a casa propria, dopo le prime avvisaglie di pandemia Covid-19. Prima un consiglio contenuto nei decreti ministeriali, poi un obbligo per tutte le attività non essenziali per il sostentamento, per continuare a lavorare. Come tutte le novità che si adottano in massa, abbiamo assistito a meeting con persone che non erano tanto abilitate al digital, problemi di collegamento ed errori comportamentali durante la call. Vediamo, per semplicità, quali sono le regole da tenere durante una conference call con colleghi di lavoro, fornitori o clienti. 1. Quando non tocca a te parlare... spegni il microfono Semplice no? Finché parlano gli altri devi disattivare la capacità del tuo microfono di catturare suoni ambientali. I motivi sono molteplici, ma essenzialmente dipende tutto dal fatto che il microfono, se non viene disabilitato, è sempre attivo. Significa che trasmette un flusso cotante di dati che impegna risorse per la conference, occupa banda, e si sente quando scoreggi. Si nel senso, voglio dire: se ti fai i fatti tuoi, saluti qualcuno che entra, il cane abbaia, i bimbi piangono... qualunque cosa diventa patrimonio comune di tutti quelli che partecipano alla videochiamata. 2. Tutte le webcam spente Questo è un tema particolarmente importante in un'economia di scala, in primis pensando che in quel momento, in tutta Italia (e nel mondo), ci sono altre migliaia e migliaia di conference call con molte persone all'interno di stanza virtuali come quella a cui stai partecipando. Il video pesa, nel senso che consuma banda. Banda in uplodad per chi lo trasmette e banda in download per chi lo riceve. Oltre ad impegnare, anche qui, risorse del sistema che si sta utilizzando. Il video, per cortesia e per riuscire a trasmettere meglio il senso di quello che si comunica, potresti attivarlo assieme al microfono, quando parli, quando è il tuo turno. Se tutti, in tutto il mondo, risparmiassero l'inutile traffico generato dal video sparato su web senza motivo, internet sarebbe un posto migliore. 3. La condivisione schermo consuma Le due regole appena esposte come importanti, diventano un imperativo categorico quando uno dei partecipanti deve condividere il suo video con gli altri. Mentre la trasmissione del proprio video, anche se non è al massimo della qualità, è qualcosa che si può accettare e non crea particolari disagi (a meno che tu non sia Brad Pitt ed abbia, dall'altro lato, uno stuolo di signore sognanti), quando si condivide il video della propria scrivania o della finestra di lavoro si deve vedere nitido per forza, altrimenti non si legge e capisce nulla di quello che si sta mostrando. Con i problemi infrastrutturali della rete italiana già questo è un problema. Con tutti i microfoni e le webcam in trasmissione, diventa un'impresa impossibile, Ripetete con me: disabilitare video e voce durante le riunioni via web perché non serve tenerli sempre accesi. 4. Stay home, stay stylish Quando si lavora da casa alcuni (ehm... la maggior parte) tendono a stare comodi, ovvero a non preoccuparsi troppo del dress code e di come restano vestiti tutto il giorno. A volte si arriva nel vabbeh, lasciamo lì quella macchia da caffè, tanto oggi non viene nessuno, ma anche senza pensare ai casi estremi di macchie dimenticate c'è una serie di casistiche importante sullo svacco da telelavoro: pigiama, tutona, capelli spettinati sono i principali déshabillé che si incontrano nelle call improvvisate. Attenzione: siete si a casa, ma state anche lavorando, presentandovi agli altri per lavoro. Sportivo? Sì, tuta la vita. Ma non curato, sporco o in modalità tra poco vado a nanna anche no. La brutta impressione si da anche in una conference call, all'ennesima potenza quando dall'altro lato c'è qualcuno che non ci conosce o ci conosce poco. Stay Home? Stay sylish (almeno quando vai in videochiamata). 5. Quello che si vede è quello che siete (e quello che hai alle spalle e tutto quello che viene inquadrato) Sono di parte, lo confesso... sono uno di quelli che la scrivania la tiene senza un foglio, bigliettino, penna, quaderno: scrivo tutto nel computer. E poi tutto deve essere simmetrico: le due casse dietro al computer nella mia postazione, il mouse sulla destra, meno cavi possibile. Ho anche due modalità di webcam, una direttamente dallo schermo del portatile e una a visuale più ampia che metto a 45 gradi ed inquadra una porzione si stanza più grande, se per caso - non in tempi di Coronavirus - ho un ospite in casa che deve partecipare alla call (uno dei nostro commerciali o altro). Quello che si inquadra deve dare l'idea di un ufficio, per quanto casalingo. S dietro ho pentole, fornelli, bimbi che giocano e gente che fa da mangiare con il frullatore... dio me ne scampi: sembra che la conference call sia poco importante rispetto al resto. Ma senza arrivare alla cucina, non sono un amate neppure degli sfondi da garage, da cameretta o da sottoscala... quando mi trovo in call qualcuno che sembra aver trovato una postazione di fortuna immagino sempre a quanto sia distratto o compresso nel suo spazio. Per non sbagliare? Fate in modo di avere uno sfondo bianco dietro e, se a volte prediligete una vista più ampia, fate in modo che la vostra scrivania sia ordinata. Conclusione Se avete altri consigli (o regole, meglio), scriveteci e gli aggiungeremo volentieri alla lista. Resta una considerazione: smart working non è sto a casa e ogni tanto lavoro ma è un lavoro in un ambiente domestico dove aumentano le distrazioni ma si dilata il tempo che dedichi al lavoro. Darsi delle regole, dei tempi e delle procedure (o abitudini) è una buona cosa per non essere inghiottiti nel pericolo di portare la propria professionalità e produttività sotto alla suola delle scarpe.
Si annulla tutto Abbiamo annullato un viaggio a Dublino che avevamo organizzato per una 30na di manager e imprenditori a fine marzo. Ci hanno annullato le presenze in Canada per un evento a maggio. Abbiamo clienti ai quali hanno annullato le fiere e altri a cui hanno annullato tutte le manifestazioni. Abbiamo bloccato i Shopify Meetup. Abbiamo stoppato le serate per i CDO legate a DigitalBuildingBlocks. insomma, ogni occasione di vedere di persona potenziali clienti e di marketing relazionale è andata a farsi benedire. Il Coronavirus ha avuto - e avrà! - un impatto devastante su un'economia fatta di strette di mano, relazioni personali e riunioni al chiuso all'interno delle stanze degli uffici, degli hotel o nelle sale dove si tengono speech pubblici. Che cosa hanno in comune tutte queste attività? Che hanno bisogno della presenza fisica. Si sperimenta Con l'emergenza Coronavirus molte scuole (prima le superiori e le medie, poi sono arrivate le elementari) hanno riscoperto Google Hangouts per fare le lezioni al mattino, l'utilizzo di Google Drive per distribuire e raccogliere materiale e sperimentano sistemi per la formazione a distanza, non sapendo per quante settimane potrebbe durare l'emergenza. Il tutto sulle spalle di presidi e professori con una fede incrollabile nel loro lavoro e con la voglia di non rimanere inermi a subire l'emergenza. Anche nelle aziende il telelavoro (lo Smart Working) sta diventando una realtà utilizzabile e non solo una chimera della quale leggere nelle riviste che parlano di futuro. Lo smart working delle pratiche e dei processi commerciali e di marketing per noi è una realtà da molto tempo. Ma vediamo un po' di prendere la questione con un approccio che permetta di trarre degli spunti per tutti. Il commercio (sì, sì... anche il sales del B2B) Fidate. Il vero problema non è il blocco della produzione. Il vero problema? Il commercio e le vendite. E non parlo solo di botteghe ma di tutte le aziende B2B che devono trovare clienti, condurre trattative e andare avanti con gli affari. Come faccio se non posso andare ad una fiera, ad un evento, ad una manifestazione dove i miei commerciali potevano entrare in contatto con dei prospect? Come posso fare se prima avevano una spinta incrollabile ed erano instancabili girovaghi che macinavano fatturato? Restare in azienda senza provare a vedere significa solo una cosa: chiudere. Oggi Il Sole 24 Ore apre col titolo: Incubo default per il 10% delle imprese. Ma cosa si può fare? Tornare alle telefonate a freddo a persone che in questo momento sono magari preoccupate di tutt'altro? Mandare email a caso alle info@ aziendali per riuscire, piano piano, ad andare in spam senza puntare a reali strategie di crescita organica? Cioè siamo veramente al lancio della palla allo scoccare dell'ultimo secondo, siamo alla preghiera? No, non ci voglio credere. Vi dico cosa stiamo facendo noi In queste settimane di sconforto imprenditoriale qui, in ICT Sviluppo, non ci siamo lasciati andare al disfattismo. Non possiamo andare a Dublino, a Berlino e in Canada nei prossimi due mesi? Premiamo l'acceleratore sulla metodologia inbound marketing. Step 1 Abbiamo una nuova commerciale che sta iniziando a lavorare ora: in allineamento con le sue capacità, propensioni e background, abbiamo messo in piedi una serie di landing page che contengono diverse proposte, per tentare di intercettare differenti problematiche che i nostri prodotti e servizi possono risolvere ai manager ed imprenditori. Eccone alcune: Step 2 Abbiamo creato una serie di campagne su AdWords, Facebook e LinkedIn per far scoprire queste offerte ai nostri potenziali clienti nell'area in cui opera la nuova commerciale. Quando qualcuno compila uno dei form di queste landing arrivano a lei tutte le informazioni per procedere con un appuntamento quanto prima. Step 3 Sui contenuti premium pre-esistenti, ebook che parlano dei nostri servizi e prodotti, ottenibili solamente attraverso la compilazione di un form, abbiamo creato un'automazione che avvisa la nuova commerciale di questi nuovi contatti interessati al nostro mondo, che si attiva solo quando il lead che compila il form è della sua zona. In questo caso sarà lei a decidere, caso per caso, se e come contattare quella persona. Conclusione Cosa sto dicendo? Sto dicendo che, vista la condizione straordinaria di emergenza nella quale ci troviamo, possiamo fare di necessità virtù per cercare di premere sull'acceleratore su quelle attività di marketing o commerciali che non avevamo mai spinto più di tanto (o che qualcuno di chi legge potrebbe non aver mai fatto). Ovviamente non sto dicendo che partire oggi con queste attività permette di superare la stagnazione di questi mesi che abbiamo davanti, ma che la situazione in cui ci troviamo potrebbe aiutarci a smuovere l'inerzia imprenditoriale in cui spesso il nostro Paese rimane invischiato. PS Se non sai da dove partire ti inserisco qui un ebook pensato per chi ha un'attività B2B e vuole capirne di più sul come si possa utilizzare internet per far crescere il business dell'azienda.
HubSpot è una piattaforma software per gestire il marketing digitale, il commerciale e il servizio clienti di un'azienda con un unico obiettivo, far crescere il business in uno sforzo congiunto cross-team, che arrivano a condividere le stesse metriche, lo stesso strumento e gli stessi numeri. HubSpot è molte cose Quello che all'apparenza sembra un software di CRM ed email marketing, in realtà, sotto ad uno sguardo superficiale è molto di più e riesce ad insinuarsi e ad entrare in intimità con tutte le dinamiche di business di un'azienda. Una piattaforma che si presenta in modo semplice e con un'interfaccia facile da imparare e da usare... ma che in realtà si rivela uno strumento molto potente che sta al mondo del marketing e delle vendite proprio come Mr. Grey entra nel mondo dell'immaginario erotico femminile con prepotenza. Entriamo quindi nella stanza del piacere di HubSpot, dando un'occhiata alle varie sezioni e quali strumenti vengano utilizzati (e come), per raggiungere il piacere del business, ovvero l'aumento del fatturato, come conseguenza di azioni coscienti che sono state fatte con quello scopo. HubSpot è conoscenza Perché farsi trascinare da HubSpot ed entrare nel suo magico mondo (molto poco perverso ma molto frizzante)? Una risposta semplice, sopra a tutto: perché ti permette di trascendere il modo in cui hai fatto digital marketing prima di utilizzarlo, perché ti fa cambiare il modo in cui dai importanza alle cose che accadono sul tuo sito, perché ti permette di conoscere i problemi delle persone che arrivano sul tuo sito e diventano contatti del tuo database, perché in questo modo capirai cosa e come vendere loro i tuoi prodotti o servizi. Rewind. Come funziona questa cosa? Innanzitutto, per rispondere, devo farvi una confessione: ho mentito. Oddio, in parte solamente, perché HubSpot c'entra - e molto - ma non fa queste cose da solo. Bisogna prima leggere il libretto delle istruzioni di HubSpot e capire cos'è l'inbound marketing prima di lasciarsi andare completamente. Mettiamola così: la tecnologia è HubSpot, il metodo su come far funzionare tutti questi strumenti e raggiungere il piacere di trovare nuovi clienti é l'inbound marketing. Non a caso la metodologia inbound è stata codificata da Dharmesh Shah e Brian Halligan nel 2009 con il libro Inbound marketing. Questi due sono i fondatori di HubSpot che, scrivendo questa guida al come usare HubSpot hanno scritto un libro che ha travalicato i confini della loro creatura ed è servito per lo sviluppo di tecnologie simili, per conto di altri player. Ma, come si dice, la copia non ha nulla a che fare con l'originale, perché è nella perdita delle cinquanta sfumature di HubSpot che rende molto difficoltoso provare a fare inbound marketing con altri software concorrenti. Da dove deriva la capacità del sistema HubSpot-Inbound di generare conoscenza? Innanzitutto da un cambio di prospettiva sul potenziale cliente: non si ragiona più a target ma a buyer persona: bisogna capire cosa può dare piacere, fastidio, astio o possa rendere felice una persona, per riuscire ad entrare in empatia, per riuscire ad essere intimi e per riuscire a portare a casa l'obiettivo. Sto sempre parlando di fatturato, se non si stesse capendo. Un buyer persona è una rappresentazione semi-ideale di un cliente tipo, con tutto il suo mondo di bisogni e desideri, che cerca risposte utilizzando soprattutto il web. Questi bisogni e desideri, quasi sempre, finiscono con il bisogno di comprare qualcosa. In questo senso il buyer persona sta facendo un buyer's journey, un percorso di avvicinamento al momento dell'acquisto, superando varie fasi che lo portano a fidarsi del partner (commerciale) a cui sceglierà di concedere (la fiducia / denaro) per completare (l'atto dell'acquisto). Questo incontro del bisogno e dell'offerta è l'essenza più vera di quello che è (o dovrebbe essere) il mercato, quello spazio-luogo dove l'offerta non ha bisogno di diventare una pratica molestatrice (outbound marketing) ma nel quale chi ha bisogno trova ciò che lo appaga, che viene dato da chi ha conquistato fiducia (cuore e cervello) del cliente. Si stiamo sempre parlando di inbound marketing che si basa sull'attrazione, come un marketing dell'amore che non ha più bisogno di violentare con messaggi ossessivi per far cedere la volontà dell'acquirente, ma lo vuole sveglio, cosciente e consapevole, che è il modo più etico con il quale consumare il rapporto (economico) e legare due entità da un contratto (la compravendita). Come funziona l'attrazione... con HubSpot Lasciando da parte lo strumento HubSpot CRM, che permette di gestire le relazioni con i propri contatti, HubSpot Marketing permette di gestire tutte le fasi della storia d'amore tra il potenziale cliente e chi possiede e vende quella cosa-servizio di cui egli ha bisogno. Form è possibile creare su HubSpot dei form per raccogliere i dati delle persone che arrivano sul sito Landing page Si possono creare delle landing page all'interno di HubSpot, che ospitano i form per raccogliere i dati Cookie Quando un potenziale cliente compila un form, grazie alla tecnologia dei cookie, possiamo andare a tracciarne i comportamenti, vedendo quali pagine del sito visita, cosa clicca, cosa non clicca etc... Offerte di contenuti premium Ok, non è un pezzo dello strumento, queste dovete farle voi, poi su HubSpot potete caricarle come video o pdf. I contenuti premium sono determinanti, perché saranno questi che spingeranno le persone a compilare i form per ottenerli. I contenuti premium non sono delle offerte di prodotto o servizio, ma qualcosa di valore che viene dato in cambio dei dati del navigatore a chi è interessato ad approfondire un determinato argomento. Ovviamente, a seconda del tipo di contenuto premium che viene scaricato, capiremo quali sono gli argomenti che interessano allo scaricatore. Quindi: i contenuti premium vengono presentati sulle landing page e vi si accede compilando un form. Del navigatore che compila il form, grazie ai cookie, non solo capiamo quale form ha compilato, ma anche quali altre pagine del sito ha visto. Ovviamente se avessimo delle pagine del blog che trattano argomenti diversi potremmo sapere molte più cose dei nostri navigatori e... e proprio per questo un altro strumento di HubSpot è... Blog All'interno di HubSpot uno dei strumenti più performanti è senza dubbio il blog: si possono costruire differenti blog con differenti template grafici, a seconda delle necessità aziendali. Call to Action Altro strumento degno di nota, in questa rapida carrellata di funzioni di HubSpot Marketing, è quello deputato alla creazione e al monitoraggio delle Call to Action (CtA). Infatti ogni articolo del blog che non termina con una CtA è un coitus interruptus nella via della costruzione di un database di contatti profilati. La CtA posta all'interno di post del blog dovrebbe portare verso una landing page che presenta un contenuto premium, in modo da poter veicolare traffico verso gli snodi che permettono di portare a casa il contatto del visitatore. SEO Vista l'importanza rivestita dai visitatori che cercano online soluzioni per i loro problemi o spunti per le opportunità da affrontare, non possiamo evitare di menzionare lo strumento che permette di classificare i post del blog su cluster verticali tematici, verificandone le performance (sia a livello di accessi che di contatti generati da ogni cluster, per arrivare a capire anche quanti e quali clienti sono arrivati a generare) Social Per raggiungere performance stupefacenti basandosi solo sul grado di attrazione dell'attività di contenuti e SEO del proprio sito, i tempi a volte possono dilatarsi. Una mano dai social fa sempre comodo, sopratutto se si investe su contenuti utili ed interessanti per i propri potenziali clienti. Ecco che la sezione social di HubSpot ci fornisce strumenti per condividere i post del blog, pubblicare contenuti originali, programmarne l'uscita... ADS Ma per un vero acceleratore di business digitale, la pubblicità a pagamento è una vera manna: ecco quindi che si possono tracciare e monitorare le performance delle campagne su Google, Facebook e Linkedin, così come pure su molti altri canali paid, grazie alla possibilità di creare link tracciati e di imputarli alle più svariate fonti. Ovviamente oltre a monitorare, per ogni annuncio a pagamento che viene lanciato, il rendimento in termini di traffico, si possono imputare quali contatti e quali clienti sono arrivati da quella determinata spesa su quel determinato canale. Mail Ma che succede ad un contatto che ha compilato un form per accedere ad un contenuto premium? Si incalza, nel tempo, con un'attività di nurturing, di alimentazione. No no, nessuna insistenza per concludere; dopo il consenso informato e sapendo quali sono i gusti del nostro contatto - grazie alla segmentazione contenuti/cookie - si continueranno a proporre contenuti interessanti per quella persona. Workflow Le cose diventano decisamente interessanti quando, grazie alla segmentazione data dai comportamenti, origine e anagrafica dei contatti, puoi iniziare a mandare in automatico delle email o distribuire compiti all'interno del tuo team. Benvenuti nella marketing automation e questo, beh, è spaziale :-) Detta molto velocemente, si possono impostare della azioni come conseguenza dei comportamenti delle persone sul tuo sito, mescolando questi comportamenti con altre informazioni che abbiamo sul database. Ovviamente, se utilizziamo HubSpot anche come CRM e come service software, la quantità di informazioni in nostro possesso su un singolo contatto possono crescere e, di conseguenza, pure la possibilità di segmentarlo e di alimentarlo in automatico, con i workflow. Questo ci permette di costruire dei funnel comportamentali per spingere le persone avanti nel buyer's journey e seguirli fino al momento dell'acquisto. Puoi scaricare la Guida alla marketing automation per saperne di più. E fermiamoci qua... Facendo un rapido sondaggio - molto poco scientifico a dire la verità - tra utilizzatori di HubSpot, associare il termine porno all'uso della piattaforma sembra molto più calzante che erotico. Per chi coglie l'importanza del dato nell'economia moderna e di come questo dato possa diventare di supporto per il marketing e il commerciale, HubSpot - che raccoglie queste informazioni grazie alla metodologia inbound - è veramente un portento.
Nella “Critica della ragion pratica” Immanuel Kant sta facendo esplicito riferimento all’inbound marketing. La ragione empirica e la ragione pura La “ragion pratica empirica” è quella che dirige il comportamento delle persone. L’esperienza forma la “ragione empirica, che è quella che ci porta a non tornare con le mani sul fuoco dopo che ce le siamo scottate la prima volta che abbiamo provato a toccarlo. Da questo dipendere dai fenomeni circostanti ne deriva una morale che varia individualmente, legandola così tanto all’esperienza che subordina la volontà. La “ragione pratica pura” è innata, è qualcosa che non dipende dall’esperienza, è una ragione a tratti socratica, che trascende l’esperibilità dell’individuo. Questa “ragione pura” è quella che può portarci ad una morale universale, slegata dall’esperienza variabile del singolo, che può portare a idee molto distanti tra loro su ciò che sia giusto e sbagliato. La ragione pratica empirica è quella che porta a desumere concetti universalmente validi, partendo dalla nostra parziale esperienza. Cosa che, evidentemente ci porta a sbagliare. Infatti la legge morale incondizionata deve avere due caratteristiche: Deve essere una scelta morale libera e autonoma Deve essere una legge morale uguale per tutti, indipendentemente dai contesti. Dalla ragione empirica alla ragion pura nel digital marketing La ragione empirica è quella che ci porta a smettere di mandare le email a freddo alle persone perché vediamo che la maggior parte di loro non le legge, ci segnala come spam e fa abbassare l’autorità del nostro dominio (e della nostra reputazione reale). Ma è anche quella che, nel caso ci sia un ritorno con le telefonate a freddo, fatto da un call center in qualche paese straniero a basso costo e che portano ad una redditività di qualche tipo, porta a far pensare che vada bene così. Ora, risulta chiaro che, se tutte le aziende del mondo, per tentare di vendere i loro prodotti, ricorressero alle telefonate a freddo da qualche paese straniero, passeremmo la giornata a rispondere al telefono e, forse, le ore del giorno non basterebbero. Al che si minerebbe l’essenza stessa della quotidianità e ci porterebbe ad abbandonare il telefono come mezzo di comunicazione. Possiamo tradurre il concetto con una domanda semplice: se tutti, in tutto il mondo, compissero quell’azione, sarebbe bene o male? Mi perdonerà Kant se quando parlava, ovviamente, dell’inbound marketing non faceva semplificazioni così estreme. Ma torniamo ai due pilastri della legge morale assoluta: incondizionata ed universale. Ora una legge morale assoluta nel marketing digitale potrebbe essere: non rompere le scatole a chi naviga su web per tentare di vendere i tuoi prodotti e servizi a persone alle quali, in quel momento, del tuo prodotto o servizio non importa nulla. La deduzione è semplice, perché, indipendentemente dall’esperienza del singolo, se tutti andassero in push sul loro blog, con le email, sui siti che navighi, sulle app che scarichi… internet diventerebbe davvero un brutto e fastidioso posto. Che già un po’ lo è, ma, appunto, perché molti individui ed aziende, sono convinti che quella sia la strada da percorrere, muovendosi su interessi personali e tornaconti individuali. Cos'è l'inbound marketing Ora, per i molti che conoscono a menadito l'opera omnia di Kant (e che avranno un sacco da ridire su questa semplificazione markettara della sua summa) ma che non sanno cos'è l'inbound marketing, trovandosi a leggere questo post del blog sulla fascinazione dell'accostamento, un piccolo approfondimento, al fine di erudire entrambi i pubblici, per quanto in modo parziale, su questa metodologia. L'inbound marketing è un metodo, una metodologia che mette insieme tutti gli strumenti - e le tecnologie del digital marketing, al fine di trovare nuovi clienti per le aziende. Lo differenzia da tutti gli altri strumenti di marketing la morale che sta alle spalle, quella su cui si basa il pensiero che ha dato origine a questo metodo, ovvero che le persone non devono essere aggredite con i messaggi pubblicitari delle aziende, ma devono essere i consumatori che si avvicinano a prodotti e a servizi quando - e se - ne hanno bisogno. Per riuscire a mettere in piedi un progetto di inbound marketing ci sono una serie di elementi di cui dotarsi e azioni da attivare. Iniziare a regalare qualcosa (contenuti) di valore alle persone, in modo da attrarle verso il tuo sito (ad esempio un blog); Inserire in questi contenuti delle Call to Action per spingere le persone a compiere delle azioni; Queste azioni portano le persone su landing page con un form da compilare per permettere loro di accedere a qualcosa con un valore maggiore rispetto a quanto di gratuito è servito per attrarle; Una volta che le persone hanno lasciato i loro dati per accedere a questo contenuto premium si iniziano a segmentare e a profilare per desumere interessi, problemi e desideri; Per permettere questa attività bisogna dotarsi di una piattaforma tecnologica, HubSpot, che permette questa segmentazione; Questi contatti vanno alimentati nel tempo, per costruire delle relazioni solide, basta sulla condivisione di ciò che per loro è di valore, con il fine di farle affezionare e dare fiducia al brand che propone questi valori; I loro comportamenti successivi li qualificheranno commercialmente e ci permetteranno di capire quando una di queste persone è pronta per un'offerta commerciale; L'offerta commerciale potrebbe essere un'email diretta al contatto o un task per uno dei nostri venditori, nel caso ci sia bisogno di una relazione uno ad uno; Il processo di nurturing, di qualificazione commerciale e di proposta (via email o con task al venditore) si può automatizzare con la marketing automation. Si segue poi il tradizionale processo di vendita, utilizzando la stessa piattaforma usata per la attività di marketing per tracciare anche le attività sales, allineando di fatto gli obiettivi della rete vendita con quelli del reparto che si occupa di comunicazione, utilizzando uno stesso strumento e le stesse metriche (inbound sales). L'inbound marketing è universale. L'inbound marketing è morale, come ci spiega Kant, perché è universalmente applicabile. Dove non ci arriva per tornaconto sui costi, ci arriva come approccio metodologico (che ne so, vendendo al pubblico finale ghiaccioli o avendo un piccolo bacino di utenza, se vuoi approfondire la questione puoi scaricarti l'ebook: Quando non conviene HubSpot e l'inbound marketing), ma resta universalmente valido perché, se tutte le aziende del mondo facessero inbound marketing per vendere, le informazioni a disposizione sui prodotti, utilizzo e consigli non farebbero che arricchire le nostre conoscenze e la possibilità di info commerce fatto con coscienza. Con un metodo che abbandona il concetto di target per lavorare sulle buyer persona (inteso come proiezione ideale di una persona alla quale, con il proprio marketing, bisogna risolvere problemi o dare risposte alle opportunità di cui è alla ricerca) e che sostituisce quello di funnel (imbuto / trappola all'interno del quale far cadere le persone per attivarle verso il fondo) con quello di viaggio verso l'acquisto, il buyer's journey, nel quale gli individui vanno alla scoperta delle soluzioni migliori per loro, il marketing moderno smette di rompere le palle e vuole diventare un aiuto e un supporto per gli acquirenti. C'è qualcosa di universalmente più morale? :-)